Il pallone racconta: i 70 anni della schedina

Il pallone racconta: i 70 anni della schedina

La schedina compie 70 anni e ha accompagnato anche la carriera di tanti calciatori, ex e addetti ai lavori del nostro mondo.
La prima venne varata il 5 maggio del 1946, quando l’Italia stava per scegliere la repubblica, per porre fine alla monarchia e sino all’inizio di questo millennio gridare "Ho fatto 13!" era il sogno di una vita migliore per milioni di italiani. All’epoca si usciva dalla guerra, soprattutto in questo decennio imperano le scommesse, al telefono, online, in ricevitoria. Già, la ricevitoria era nata per le schedine, appunto. Le prime furono Sisal, poi la trasformazione in Totocalcio, accanto al Totip, noto per la pubblicità con il cavallo che nitrisce.

“Le quote del Totocalcio oggi sono popolari”, sembra ancora di sentire Paolo Valenti, il volto di 90° minuto, ad accompagnare le domeniche degli italiani che, senza anticipi e posticipi e spezzatino e televisioni imperanti controllavano la sequenza di risultati. “Oggi si premiano i 12 e anche gli 11, perché la tal partita è rinviata per nebbia”.
Capitò anche che venissero pagati gli 11 e i 10. Succedeva, magari, di fare 13 ma di incassare pochissimo o, viceversa, di azzeccare un 12 danaroso. I vincitori erano sempre lì, a metà fra l’euforia da ostentare al bar - per le piccole quote - e la voglia di nascondere, per evitare rapine e rapimenti. Perché l’Italia degli anni ’70 e ’80 offriva anche questi rischi.

La maggioranza dei giocatori andava in ricevitoria il sabato pomeriggio, magari occhieggiando i giornali sportivi per le ultime notizie, per azzeccare il pronostico. Il montepremi per anni è stato miliardario, nel tempo si è affievolito quel rituale che coinvolgeva ore e ore di tempo libero e discussioni al bar, perché proprio lì avevano sede, spesso, le ricevitorie. E allora ci si azzuffava per un rigore dato o negato, per un gol divorato e un’autorete sospetta.

Qui non facciamo sconti a nessuno, neanche ai calciatori che hanno sbagliato, perché la schedina significò anche totonero e lo scandalo del 1980, con condanne importanti, anche di campioni dell’epoca e poi altre combine, sino alle due raffiche di calcioscommesse degli ultimi anni.
Ecco, in generale c’era più pulizia, nel calcio, quando c’era unicamente la schedina, era più difficile creare un’organizzazione criminale per condizionare i risultati, adesso gli scandali si sono verificati anche nel tennis, per esempio.

Ma qui ci concentriamo sul rituale positivo, sul bello della vita di tanti operai e impiegati e contadini che sognavano piazzando l’1, l’X o il 2. Nel calcio antico, le vittorie in trasferta erano decisamente più inconsuete, si scommettevano magari poche migliaia di lire secondo due criteri: azzeccare il colpo della vita, dunque zeppo di 2, o comunque con pochi 1, oppure prevedendo risultati scontati, seguendo la logica e allora il 13 poteva arrivare ma essere di Pirro, con 2 o 300mila lire. Giusto il budget di qualche mese di azzardo, per alcune migliaia di italiani. Certamente il Totocalcio dava meno dipendenza dei videopoker e poi il rituale coniugava anche il tifo per la propria squadra o contro l’antagonista.

LA DOMENICA. “Perché, perché, la domenica mi lasci sempre sola, per andare alla partita?”. Viene in mente Rita Pavone e una delle canzoni più celebri della storia d’Italia. È la storia del costume, il Toto(calcio), l’oppio di un Paese che ha sempre tentato di vivere meglio sognando uno scudetto o la vittoria che cambia la vita.
Era più appassionante anche il calcio, con tutte le partite concentrate la domenica pomeriggio, alle 14,30 d’inverno, alle 16,30 le ultime, mentre per scommettere si andava alla ricevitoria, in coda, magari il sabato pomeriggio perché si aspettava di leggere le ultime dai quotidiani sportivi, adesso bastano le pay tv e i conti online o le scommesse telefoniche. Si può giocare su tutto, non solo sport, persino sulla Serie D.

LA PRUDENZA. “Il 13 al Totocalcio” è stato un must, quasi un intercalare, un bel modo di dire, come qualcosa di molto remoto. Quando si verifica, è da urlare in famiglia, tutt’al più con i vicini di casa, al bar serve più prudenza e mica solo perché si deve pagare da bere. Perché il colpo che cambia la vita faceva inorecchiare la criminalità, persino con il rischio di rapimenti, negli anni ’70, e in parallelo la possibilità di farsi travolgere dalla subitanea ricchezza. Insomma, i 13 pesanti davano lavoro anche agli psicologi, magari post dramma di chi si era fatto prendere dall’ebbrezza delle spese pazze e poi si era trovato squattrinato e senza lavoro. Un vincitore miliardario del 1977 si inventò imprenditore, fallì e si tolse la vita, sotto un treno.

IL SABATO. La febbre del sabato sera fu prima del Totocalcio che delle discoteche, dagli anni ’60 padri di famiglia e giovani dedicavano ore e ore a pensare alla combinazione di risultati, in base a due criteri: piazzare molti 2, significava azzardare, poiché le vittorie in trasferta rappresentavano comunque eccezioni, mentre l’abbondanza di 1 e di X portava a un possibile 13 trascurabile. Mezzo secolo fa, dei risultati si discuteva magari anche negli spogliatoi, ma in genere come curiosità, costume, senza malizia. Il passatempo è più dei tifosi che degli addetti ai lavori, con ore e ore passate al bar, baruffe chiozzotte per prevedere il risultato a sorpresa, la martingala di pronostici magari in società. Ciascuno spende quanto può, si creano sodalizi sulla parola che poi magari al momento di riscuotere vengono traditi, perché se si paga solo un decimo della scommessa e poi ci si deve accontentare di briciole della vincita.

IL 12 DI CONSOLAZIONE. Sbagliare un risultato ha come il sapore della medaglia d’argento, l’incasso porta il rituale dei salamelecchi: “Ho sbagliato giusto la più facile. E pensare che avrei proprio voluto mettere l’X, ho presunto troppo”. E via recriminando.

LA GENESI. Il tutto iniziò per intuizione di giornalista sportivo di Trieste, Massimo Della Pergola, de La Gazzetta dello Sport, finito in un campo di prigionia in Svizzera in quanto ebreo. Sviluppò l'idea di un passatempo popolare che finanziò la rinascita dello sport italiano all’uscita dalla Seconda Guerra mondiale, facendo innamorare la penisola.
Insieme ai colleghi Fabio Jegher e Geo Molo fondò la Sisal (Sport Italia, società a responsabilità limitata), con una schedina inizialmente di 12 partite, e i vincitori con 12 e 11 punti. Stamparono il foglietto colorato in 5 milioni di copie, se ne giocarono appena 34 mila. Per sbarazzarsi di quella montagna di carta, alla Sisal distribuiscono le schedine inutilizzate ai barbieri, perché ci puliscano i rasoi.

L’ESCALATION. Nel ’46, giocare una colonna costava 30 lire, il prezzo di un liquorino al bar. Con le vincite si poteva fare un viaggio o appianare un debito, ma i più fortunati riuscivano a comprarsi casa.
Il primo vincitore fu Emilio Blasetti, incassò 463.846 lire, grazie a una sequenza di sei X. Dopo l’iniziale scetticismo, in pochi mesi le giocate toccarono le 13 milioni di colonne, una ogni tre abitanti. Il fenomeno fu tale che il governo lo nazionalizzò, nel 1948, ribattezzandolo appunto Totocalcio. E, per finanziare la partecipazione alle olimpiadi di Londra, il prezzo della colonna salì a 50 lire.

I RECORD. Il primo incasso a 9 cifre fu a Prato, pari a 104 milioni. Negli anni ’80 e ’90, il Toto distribuisce anche mille miliardi di lire per ogni campionato.
Il pronostico prevede tutte e 8 le partite di Serie A, magari 3 di B e due di C, una per girone di C1. L'anno dei record è il 1993, la vincita più alta è del 7 novembre: tre schedine con un 13 e cinque 12 regalano 5 miliardi e 549 milioni, a Crema, Patti Marina (Messina) e in un autogrill sulla Napoli-Salerno. L’anno successivo si verifica il montepremi più ricco, di 34 miliardi e mezzo.

IL DECLINO. Inizia con l’avanzare di Totogol e Superenalotto, poi con le scommesse al telefono e i Gratta e Vinci, sino all’era di internet.
Il 24 agosto 2003 in 55mila fecero 14 (perché intanto il Totocalcio aveva aggiunto una partita) e il premio fu al minimo, due euro a ciascun vincitore.
Nel 2004 si perse il 10% di giocate, con 443 milioni, scesi a 39,8 milioni nel 2014 e ai 10 milioni dei primi 4 mesi di quest’anno. Giocati preferibilmente da anziani nostalgici poco avvezzi alla tecnologia. Che oggi brindano ai 70 anni della schedina. Magari con Stock 84, come raccontava la pubblicità su radio1, alla fine di Tutto il calcio minuto per minuto.

di Vanni Zagnoli

05.05.16