Ancora un ricordo di Giacomo Losi

Dall'archivio del "Calciatore"

Un’intervista di Pino Lazzaro a Giacomo Losi, pubblicata 9 anni fa sull’house organ dell’Associazione 

 

Giacomo Losi, che il prossimo settembre ne avrà 80 di anni. Giacomo Losi, soprannominato “core de Roma” con le sue 386 presenze con la maglia giallorossa, ancora al terzo posto in graduatoria, dopo Totti e De Rossi. Giacomo Losi di Soncino (Cr), papà facchino, mamma che lavorava in filanda. Padre che non aveva voluto saperne del Fascio e così nel ’43 arriva un gruppo di squadristi e lo portano via; per quasi due anni lì a casa non sanno più nulla, finché un giorno all’improvviso torna, fanno fatica a riconoscerlo: deportato in Cecoslovacchia, a scavare in un campo di lavoro. Giacomo Losi che se li ricorda ancora quegli anni, quanto è stata dura, lì a spigolare, raccogliendo le spighe di grano rimaste a terra dopo il taglio, se la ricorda ancora quanta polenta ha mangiato. Giacomo Losi che gioca col pallone di pezza e dato che il suo futuro doveva essere sarto e già aveva cominciato a fare qualcosa, è lui a fare i calzoncini per i compagni della sua prima squadra, la Virtus. Va poi a giocare con la Soncinese, in serie D, da attaccante e poi passa alla Cremonese, lo mettono dietro, difensore e dalla D passano alla C. Provini con l’Inter e il Bologna e un giorno che è lì con gli amici a tuffarsi sul fiume, ecco arrivare il papà in bicicletta, gli dice di andare in centro, che l’hanno chiamato al telefono pubblico, che la Cremonese gli deve dire una cosa importante. Giacomo Losi che al telefono poi si sente dire che l’hanno ceduto a una squadra di serie A e lui lì per lì nemmeno chiede quale sia e così l’indomani parte in treno col dirigente che l’accompagna, senza sapere dove sta andando. “Lui zitto e io pure. S’arriva a Bologna, lui mi dice che dobbiamo andare in sala d’aspetto. Non resisto più e gli dico: non dovevamo andare in sede? Ero convinto fosse il Bologna e lui no, a dirmi che stava arrivando il direttore generale della Roma, si chiamava Carpi, per firmare il contratto. Quasi ci sono rimasto male: la Roma, a Roma, mamma mia! Io che tifavo il Torino e Fausto Coppi”.

Giacomo Losi che così parte per Roma, col primo vestito della sua vita, valigia con lo spago e quelle parole dei genitori scolpite nel cuore: “Comportati bene”. Giacomo Losi e la preparazione con la prima squadra da aggregato. A scoprire quel mondo senza saper proprio nulla. Nelle partitine dalla sua parte c’è un campione del mondo, Ghiggia. Mino – così lo chiamavano solo in casa – si impegna, è rapido e svelto e certo Ghiggia chissà poi quanta voglia ha di fare sul serio. Giacomo Losi che così fa la sua bella figura, la gente inizia a riconoscerlo e incitarlo, lui capisce che almeno ci può stare e dopo un paio di mesi entra in squadra, per non uscire praticamente più. Debutto contro l’Inter campione d’Italia, subito la chiamata a casa, domenica gioco e notti insonni: vittoria per tre a zero e via.

 

Giacomo Losi che ha vissuto a lungo e tra i suoi ricordi c’è pure l’Associazione Calciatori, proprio così

“Come categoria avevamo allora un avvocato, si chiamava Masera. Era lui che avrebbe dovuto curare i nostri interessi e dico così perché non ne vincevamo una di cause. Tanti in B e in C ma pure in A non prendevano i soldi e noi tutti in fondo non sapevamo nemmeno chi eravamo. Nessuna tutela, nessuna garanzia. Dei privilegiati, certo, già allora prendevamo più di chi andava a lavorare, ma era un lavoro il nostro? Chi eravamo? Ricordo che sull’aereo che ci portava a giocare in Svizzera una partita della Coppa delle Alpi, fu Lino Cascioli, giornalista del Messaggero, a chiedermi come mai noi calciatori non cercassimo di fare qualcosa, di mettere assieme una roba nostra, avrei potuto parlare con gli altri capitani, no? Era qualcosa che avevo già dentro e così feci. Rivera, castano, Mazzola, De Sisti, Bulgarelli, altri ancora. Il primo fu Rivera, dai Gianni che organizziamo almeno un incontro, ci diciamo le cose. Io mi occupo del sud, tu del nord. Così ci trovammo a Milano in una decina, però avevamo le deleghe degli altri. C’era il problema di trovare qualcuno che ci rappresentasse, ci fu chi propose di sentire anche Masera, ma io dissi proprio no, non se ne parla. Già m’era capitato di pensare a Campana, aveva smesso l’anno prima, era uno di noi, li sapeva i nostri problemi. Era appena diventato avvocato ed eravamo amici, eravamo stati assieme in azzurro, nelle giovanili. Lui all’inizio era un po’ titubante, poi si convinse e così c’ero ben anch’io quando nel luglio del 1968 andammo davanti al notaio a Milano a fondare l’Associazione Italiana Calciatori. Peccato che l’anno dopo ho smesso di giocare, così ho preferito chiamarmi fuori, non ero più un calciatore”.

 

Giacomo Losi, per 299 partite con la fascia di capitano. Mai un’espulsione, mai. E una sola ammonizione (!), giusto poi nell’ultima partita che giocò con la Roma

“Contro il Verona, avevano Bui e Traspedini come attaccanti. Il nostro allenatore era il mago Herrera, voleva che si andasse avanti e io mi trovavo a ballare lì dietro, in qualche modo dovevo fermarli. Al terzo fallo viene lì l’arbitro, era Motta: mi spiace Losi, la devo ammonire. Giocavo molto sull’anticipo, vedevo prima e prevedevo e se l’altro la prendeva sapevo temporeggiare, aspettavo che se l’allungasse un po’ e sempre sulla palla entravo, mai sulle gambe, non serviva. Avevo quella che adesso si chiama forza esplosiva e pur essendo meno di 1.70, ero bravo di testa, anche uno grande e grosso come Charles lo marcavo io. Ai miei tempi il capitavo contava davvero, forse ancor più dell’allenatore. Sempre con e per i compagni, ma se qualcuno faceva il furbo e non faceva le cose come dovevano essere fatte, non gliela facevo passare, certo che no. M’impegnavo sempre, cercavo d’essere d’esempio per tutti. Per questo ancora mi ricordano”.

 

Giacomo Losi ancora sul campo

“Sì, è cominciato anni fa. Andavo a correre su un campo qui vicino a casa e allora mi chiesero perché non andassi con loro, a fare qualcosa. M’era sempre piaciuta l’idea di mettere su una scuola-calcio col mio nome e così è andata, era il 1978. Poi la chiamata pure della Nazionale attori, un paio di allenamenti la settimana e tuttora la storia va avanti, se non vado al campo ci sto male. Ai miei allenatori dico sempre che il campionato viene dopo, che è la Coppa Disciplina che dobbiamo cercare di vincere: insegnare le regole e farle rispettare”.

 

Giacomo Losi e i calciatori di adesso

“Mi spiace ma quei loro comportamenti non mi piacciono. Un tempo non c’erano le risse di adesso, dall’arbitro andava sempre e solo il capitano, gli si dava del lei, le braccia dietro. Finiva la partita e finiva lì, ingiustizie comprese, che c’erano anche allora. Non mi piacciano le espressioni che si usano verso gli avversari, verso gli arbitri, anche verso i compagni. Sono certo più istruiti di noi ma non so – penso alla vita vera – come intelligenza: o non la sanno usare o sono più indietro di noi. Per forza dover apparire in un modo ed essere invece un altro. Mi spiace, non lo capisco”.

 

Giacomo Losi e i ragazzini

“Anche qui faccio fatica, tanta. E così mi sento ancora più vecchio di quello che sono. Ed è una cosa che la vedo anche con gli stessi attori, quelli più giovani: mi rispettano ma non mi “sentono”. Vedo come i ragazzini si comportano con i genitori o con i nonni, la mancanza di rispetto che c’è per figure che una volta noi s’arriva sino a venerare. E così mi chiedo da dove mai sono arrivato io, che sono venuto su che non avevo niente. Con genitori che adesso cercano il procuratore per ragazzini di 12 anni, così li portano in giro, a fare provini. Come se uno diventasse calciatore perché lo vedono ai provini e non per le qualità che ha. Tutti lo vedono se uno è bravo a giocare a pallone, no? Offre tanto la vita oggi e tanto hanno, non c’è solo il pallone. Anche chi ha le capacità fa però presto a stancarsi, ma è ancora fatto di sacrificio il calcio, non si arriva così per caso. Così devo vivere dei miei ricordi e non sono contento, no”.

 

SCHEDA

Giacomo Losi è nato a Soncino (Cremona) nel settembre del 1935. Dopo la Soncinese (D), ha giocato con la Cremonese (D e C) e per quindici campionati con la Roma in serie A. 386 le sue presenze in giallorosso in campionato, con la vittoria di due Coppe Italia (63/64 e 68/69) e una Coppa delle Fiere (60/61). Undici le sue presenze con la maglia azzurra, con cui ha partecipato al Mondiale in Cile nel 1962. A lungo allenatore (ha vinto tra l’altro il Seminatore d’Oro grazie alla promozione in B col Bari nella stagione 76/77), si occupa tuttora di una scuola-calcio affiliata alla Roma e della Nazionale attori. È stato tra i promotori e fondatori dell’Associazione Italiana Calciatori. 

09.02.24