Pallone e dintorni… Domenico Criscito
Allora, come è iniziato tutto?
“In casa lì con i miei la passione del calcio c’è sempre stata, mio padre pure ci giocava a pallone, a livello amatoriale, facevano dei tornei. Io ho una sorella più grande e una più piccola, per dirti anch’io insomma finivo che giocavo con loro con le Barbie. Poi è successo che un giorno mio padre mi ha portato con lui a giocare ed è stato così che dentro mi è scoppiata questa mia grande passione e guarda che poi me la portavo anche a letto la palla, senza non riuscivo a prendere sonno: mai avrei pensato di poter mettere assieme una carriera come quella che ho fatto. Ho cominciato così con la scuola calcio lì di Volla, ma dopo il campo ero sempre per strada a giocare, ancora e ancora, mi compravano delle scarpe e dopo una settimana già le avevo scassate. Non era lontano il campo da casa, ma è sempre stato mio padre a portarmi”.
A 14 anni “l’incontro” col Genoa…
“Guarda, dai 12 ai 14 anni ne avrò fatti più di cento di provini, per chissà quante società. Eravamo a Napoli quel giorno, uno come tanti altri, di solito ecco che mi dicevano “sì, bravo, faremo sapere” e non succedeva mai niente. Ma quella volta andò diversamente, mi venne vicino un dirigente, lì a dirmi se mi andava di andare qualche giorno a Genova per provare. Io, quasi sorpreso, ci ho messo qualche secondo per realizzare, certo che vengo. Sono così andato ed è stato dopo un torneo che abbiamo giocato a Matera, si chiamava Memorial Scirea, che mi hanno preso”.
Con gli occhi di adesso, come vedi quel tempo?
“Il ricordo di quegli anni lì a Napoli è un bel ricordo, sempre m’hanno trattato bene, con allenatori molto bravi e magari io ricordo tutto così, tutto positivo, soprattutto perché mi trovavo a fare un qualcosa che mi piaceva proprio tanto, è a quell’età che si comincia a sognare. Se andavo allo stadio con mio padre? No, mai, però una sola volta ci sono andato e l’ho fatto di nascosto, i miei avevano paura, poteva magari succedere quel che ogni tanto succede. Ricordo che era un Napoli-Bologna, il Bologna a vincere 5 a 1, c’era Signori: quando sono ritornato a casa, l’ho comunque detto ai miei, non mi andava di tenerlo nascosto”.

Tu a Genova, i tuoi a Napoli: tutti contenti lì a casa?
“Quando il Genoa mi selezionò, quello più contento era mio padre, parecchio meno mia madre, non era certo convinta, io unico maschio tra due femmine, tanto è vero che per ‘compensare’ ne hanno fatto poi un altro di figlio, proprio così, classe 2001, lui che è nato giusto quando io me ne andavo da casa. Ovviamente è stata dura, lasciavo amicizie e famiglia ma è pur vero che era un sogno bellissimo quel che cercavo di coronare. Quel che mi ha aiutato è stato pure che lì nel gruppo di ragazzi eravamo in nove napoletani, m’è servito. Tutti al convitto Don Bosco, ci lavavamo i vestiti e la cosa più complicata e difficile era tenere in ordine l’armadio che ciascuno aveva, ricordo una volta lo stupore di mia madre quando vennero su a trovarmi nel vedere la confusione che c’era nel mio, quel suo… ma cosa succede qui, lì subito a mettere a posto e sistemare”.
È stata dura?
“Ripenso al viaggio sino a Genova, quando sono davvero partito da casa. L’ho fatto da solo, in treno e di notte, una prima volta. Ricordo l’ansia e pure la paura e oltre ai miei sacrifici, non dimentico quelli dei miei, mio padre operaio, non era facile per i miei dover affrontare delle spese per quella che era la mia situazione. Io che avevo modo di confrontarmi comunque con ragazzi della mia età, ci stavo bene con loro e pure con la società che mostrava di credere ai giovani, anche se facile non è mai: anche quando sei in Primavera non si sa, sono sempre la maggioranza quelli che poi non riescono ad arrivare alla prima squadra”.
Cosa ci hai messo soprattutto di tuo?
“Di mio ci ho messo innanzitutto la passione e la mia forza è stato il comportamento. In effetti mi vedevano già allora come un napoletano atipico, sai com’è, al solito ci vedono, come dire, belli svegli, spesso magari sopra le righe. Io no, sono sempre stato concentrato su quel che dovevo fare, mai fatto stupidate, tipo scappare per andare in discoteca o da qualche ragazzina”.
Quando hai capito che ci potevi stare?
“Ho capito che era/poteva diventare un lavoro il primo anno in serie B, in una piazza poi come quella del Genoa. Venivano dalla C e l’obiettivo era subito quello della serie A, la si poteva cominciare ad avvertire la pressione, era insomma differente da prima, ma credo che una mia forza sia stata quella d’essere sempre stato uno tranquillo, uno che non ha mai troppo avvertito della tensione prima di una partita, sia che sia stato l’esordio o il debutto in Champions per dire”.

L’occhio televisivo (e non solo) sempre puntato addosso: ti capita di pensare al fatto di poter essere un esempio per i ragazzini?
“Certo che lì in campo dobbiamo stare attenti a quel che facciamo, a come lo facciamo. Lo vedo già lì a casa, i due figli maschi che ho, l’esempio positivo che devo cercare sempre di dare, loro che in effetti ora come ora mi vedono quasi come un idolo. Stanno crescendo, pure loro hanno la mia stessa passione per il calcio, sono contento ma di certo non starò lì a far loro delle pressioni, che giusto giochino insomma. Dunque dobbiamo stare attenti ai comportamenti, siamo sulla bocca di tutti, anche un piccolo sbaglio viene messo in risalto. Lì nello spogliatoio le sappiamo le regole che ci sono e quando capita qualcosa di sbagliato, lo sappiamo riconoscere”.
C’è qualcosa che ti piace meno di questo tuo mondo?
“Quel che mi piace meno di questo nostro mondo sono le… critiche, però mi rendo conto che fanno parte del gioco, anche della crescita, ancor più in una piazza importante come Genova. Sarebbe bello fosse tutto sereno e tranquillo ma non è certo così, non può essere così. Le pagelle? Sì, sì, le leggo ancora, anche se meno di prima”.
Cos’è adesso per te il divertimento?
“Il divertimento più grande è per me adesso quando gioco a calcio con loro, con i miei figli, certo che è proprio vero che fare il calciatore vuol dire fare il mestiere più bello del mondo, sicuro che sono un privilegiato: riesco a fare quel che mi piace e ho pure il tempo di stare con la mia famiglia. E mi diverto anche quando mi alleno ed è proprio questo che mi fa andare avanti: quando non mi divertirò più, allora sarà il momento che li poserò per davvero gli scarpini”.
La fascia al braccio: che capitano sei?
“Come capitano sono uno tranquillo, la sua parte silenzioso. In campo invece sono uno che rompe le scatole, lo so, sono uno di quelli a cui non piace perdere, non li lascio certo stare i compagni, non voglio che si risparmino. Ancor più per l’importante società per cui giochiamo, per fortuna nel nostro gruppo di teste calde non ce ne sono. Con i giovani va bene, anche con loro sono esigente, ma non mi dimentico che giovane lo sono stato anch’io, c’era chi mi consigliava e io cercavo di ascoltare, come vedo che loro adesso fanno con me”.

“Per mio conto sono più professionista adesso che prima. Poco da fare, dopo i 30 anni il fisico cambia e allora tutto diventa importante, l’alimentazione, i lavori in palestra per prevenire… ora sto vedendo che più mi alleno e più sto bene”.
Dura dare consigli, specie adesso ancor più con i giovani, così dicono, ma se proprio ci vuoi provare?
“Il consiglio che mi sentirei di dare a un ragazzo che si affaccia al professionismo è quello di essere professionista dal primo giorno delle giovanili, sì. Tutta una cosa che poi ti ritrovi più avanti. Mi rendo conto che se dici a un ragazzo di 18 anni di andare magari in palestra a fare qualcosa in più, lui può anche mettersi a ridere, però il mio consiglio non cambia, è sempre lo stesso: di lavorare e lavorare, perché in futuro è un qualcosa che poi ti ritrovi ad avere”.
E dopo?
“Mah, vediamo. Da una settimana ho iniziato il corso Uefa B per allenatore. L’idea è insomma quella di continuare nel mondo del calcio e diciamo che intanto mi porto avanti, chissà, magari poi non mi piace ma intanto lo faccio”.
Quel provino…
Sfogliando lì sulla rete un po’ di pagine dedicate all’attuale capitano dei rossoblù, ecco saltar fuori la testimonianza di Claudio Onofri, al tempo responsabile del settore giovanile del Genoa, che ricorda quel provino a Napoli in cui per l’appunto ebbe modo di “scoprire” Criscito: “C'era stato un raduno di tanti giocatori iniziato per le 13. Verso le 18 non avevo ancora visto niente di entusiasmante. Volevamo tornarcene a casa dal momento che saremmo dovuti rientrare a Genova in macchina, ma per correttezza decidemmo di restare. Dopo dieci minuti questo ragazzo ha stoppato una palla che arrivava da 40 metri, con il petto, e non di testa come avrebbero fatto gli altri, l'ha messa giù e ha fatto un lancio di trenta metri di sinistro, molto ma molto preciso, per un suo compagno. In 5 min l'abbiamo preso e portato con noi”.

LA SCHEDA
Classe 1986, di Cercola (Na), Domenico “Mimmo” Criscito è cresciuto nelle giovanili dello Sporting Volla (Na). Decisivo per il passaggio al Genoa verso i 14 anni (come Domenico ricorda nel suo raccontare) un provino fatto a Napoli: a “scoprirlo” Claudio Onofri, a quel tempo responsabile del settore giovanile genoano (vedi riquadro). L’esordio in serie B con la maglia del Genoa lo fa a 16 anni, passando poi alla Juventus con la cui Primavera arriva pure a vincere uno scudetto. Altra stagione col Genoa in B (e promozione) e il campionato successivo torna alla Juventus, con cui esordisce a 20 in serie A (Juve-Livorno 5 a 1, Claudio Ranieri come “mister”). Torna successivamente ancora al Genoa con cui gioca tre campionati filati di serie A, passando poi allo Zenit San Pietroburgo, club con cui ha giocato per ben sette stagioni, avendo come allenatori via via Spalletti, Villas-Boas, Lucescu e Mancini e vincendo due campionati russi (2012/2013 e 2015/2016), una Coppa di Russia (2016) e due Supercoppe di Russia (2015/2016 e 2016/2017). È infine tornato al Genoa, di cui è il capitano, dalla stagione 2018/2019. Con presenze in tutte le Nazionali giovanili, con la Nazionale Olimpica ha partecipato all’Olimpiade 2008 in Cina. L’esordio nella Nazionale maggiore (26 in totale le sue presenze, compreso il Mondiale 2010 in Sudafrica) risale all’agosto del 2009 (Svizzera-Italia a Basilea, 0 a 0, Lippi commissario tecnico).
(autore: Pino Lazzaro)