IL PALLONE RACCONTA: GIGI SIMONI

La scomparsa del “tecnico gentiluomo”

Ha ragione Massimo Moratti: “Gigi Simoni meritava quello scudetto”. Peccato che l’anno dopo l’abbia esonerato, proprio l’indomani del ritiro della panchina d’oro.

Simoni se n’è andato per sempre venerdì, un anno fa era stato colpito da ictus, non si era più ripreso, aveva sempre accanto la moglie, Monica Fontani. 

Si fatica a trovare qualcuno che parli male di Simoni, era un grande professionista e molto ammirato, proprio per lo stile. L’abbiamo incontrato anche noi, nei decenni sui vari campi, aveva un feeling particolare con Roberto Baruffaldi, l’ex segretario di redazione di Tuttosport, che per parecchi anni gli aveva telefonato ogni giorno, giusto per un saluto.

Intanto lo ricordiamo con l’articolo dell’Ansa, di Alessandro Castellani.

“Passerà alla storia come il 'tecnico gentiluomo', definizione che gli calzava a pennello, perché garbo e aplomb erano davvero il suo tratto distintivo. A 81 anni è morto Gigi Simoni, malato da tempo, e il calcio perde uno dei suoi protagonisti migliori. Un grande tecnico e un grande uomo, come ora ricordano tutti. Il volto gentile del pallone se ne va nel giorno del decennale del triplete di quell'Inter che lui aveva contribuito a forgiare. E proprio per i nerazzurri una volta perse la pazienza: a Simoni non era mai andato giù lo scudetto che, a suo dire, l'Inter che guidava avrebbe meritato nel 1998, ma che non ottenne anche per via dell'esito del confronto diretto con la Juventus, nel match passato alla storia per il fallo di Mark Iuliano su Ronaldo Fenomeno. Se sanzionato con quel rigore secondo lui evidente, a dire di Simoni la stagione avrebbe potuto avere un esito diverso. Quel giorno il tecnico interista perse la sua solita pacatezza dicendone di tutti i colori all'arbitro Ceccarini: cosa che gli costò l'espulsione e quel cartellino rosso fece notizia, perché per Simoni era praticamente un inedito. "Con la Var quel titolo lo avremmo vinto noi", dichiarò tanti anni dopo, alla vigilia dell'ingresso del 'video assistente' dell'arbitro nel calcio, novità a cui era favorevole. Simoni si rifece di quell'amarezza vincendo, un mese dopo, la coppa Uefa '98 nella finale del Parco dei Principi di Parigi in cui i nerazzurri, trascinati da un Ronaldo strepitoso, travolsero per 3-0 la Lazio. Anche per quello Simoni venne insignito della Panchina d'oro. Ma la gloria del calcio è mutevole, così nel corso della stagione '98-'99 venne esonerato e al suo posto arrivò Mircea Lucescu. Sono state tante le panchine su cui l'allenatore-gentiluomo si è seduto, lasciando sempre un buon ricordo di sé e facendosi tanti amici: da Piacenza a Napoli - con cui vinse anche una Coppa Italia, ma da calciatore - passando per Genoa. Con i rossoblù liguri, dopo esserne stato una mezzala, cominciò la carriera di tecnico e complessivamente ci lavorò per otto anni, incassando un iniziale grande amore ma anche le contestazioni dei tifosi per una retrocessione e gli acquisti sbagliati, da lui voluti, di Berni e Silipo. Ecco poi Brescia, Pisa (portò i toscani due volte in A e sotto la Torre era amatissimo), Empoli, Lazio, dove il presidente Giorgio Chinaglia gli affidò la squadra ma non centrò la promozione, Ancona e Cremonese, squadra che è stata un altro suo grande amore e che portò in serie A nel 1993 aggiudicandosi anche un altro riconoscimento personale, il 'Guerin d'oro'. Dei grigiorossi Simoni è stato eletto 'allenatore del secolo', dello stesso club è stato anche presidente e direttore tecnico. L'ultima esperienza in panchina nove anni fa a Gubbio, dove aveva un ruolo dirigenziale ma poi subentrò in panchina al posto dell'esonerato Fabio Pecchia. Simoni, che non aveva in particolare simpatia la Juve ma che da calciatore aveva militato una stagione ('67-'68) nei bianconeri (11 presenze e nessun gol) se ne va con un record ancora oggi imbattuto: è l'allenatore ad aver ottenuto più promozioni dalla B alla A, ben sette. L'ottava la ottenne dalla C/2 alla C/1 con la Carrarese, nel 1992. A giugno dello scorso anno il ricovero per un malore dal quale non si è mai ripreso, e negli ultimi giorni il suo stato di salute si era ulteriormente aggravato. Dalla famiglia l'annuncio della scomparsa: "Accanto al mister gentiluomo, raro esempio di stile e sobrietà, c'erano la moglie Monica e il figlio Leonardo". Se ne va il volto garbato del calcio, ma anche un tecnico vincente”.

Abbiamo lasciato tutto, per una volta, anche le prese di distanza dell’agenzia di stampa di riferimento, per l’Italia, ma insomma quel contatto che Mark Iuliano considerava fallo di sfondamento, di Ronaldo, al Var sarebbe sempre stato rigore e probabilmente lo scudetto sarebbe andato ai nerazzurri.

È scomparso proprio nel giorno del decennale del triplete interista, l’ictus l’aveva colto a casa sua, a San Piero a Grado, in provincia di Pisa, e negli ultimi giorni il suo stato di salute si era ulteriormente aggravato fino al decesso, avvenuto all'ospedale Cisanello di Pisa. Il Comune toscano allestirà la camera ardente alla chiesa della Spina e a giugno verrà ricordato allo stadio Arena Garibaldi, che potrebbe essergli intitolato.

Lasciato il mondo del calcio, aveva scelto di vivere a San Piero a Grado con la famiglia.

Moratti non aveva mai interrotto i rapporti con il suo ex allenatore, racconta: “L'ho visto lo scorso anno, quando è stato male. E lo avevo visto anche qualche mese prima, quando era passato da Milano. Ci sentivamo spesso, ci volevamo bene. Purtroppo a noi interisti la sorte riserva sempre il dolce e l'amaro insieme. Questa volta il lato amaro è stato molto duro. È una notizia davvero dolorosa”.

Ronaldo lo ricorda così. "Simoni per me non è stato solo un allenatore. Se oggi penso a lui, penso a un uomo saggio e buono, che non ti ordinava di fare le cose, ma ti spiegava perché quelle cose erano importanti. Penso a un maestro, come in quella foto che facemmo a Natale: lui direttore, noi l’orchestra. Lo ricordo così, con quel sorriso, la sua voce sempre calma, i suoi consigli preziosi. Potevamo e dovevamo vincere di più, ma abbiamo vinto insieme, la cosa che ci raccomandava sempre: grazie mister, mi hai insegnato più di quanto immagini”.

Il capitano di quella Inter è Beppe Bergomi: "Per lui eravamo tutti uguali, tranne Ronaldo. Gigi era una grande persona, un grande uomo, per me è stato importantissimo, mi ha dato l'opportunità di giocare il 4° mondiale, quando arrivò mi disse che per lui eravamo tutti uguali, quelli di 18 anni come quelli di 35, sarebbe stato il campo a decidere. Appena ha saputo la notizia ho chiamato tutti i miei ex compagni, da Ze Elias a Zamorano, anche i sudamericani erano colpiti, quello era un grande gruppo che è rimasto nella mente dei tifosi dell’Inter”.

Simoni aveva allenato al Genoa (dal 1975 al 1978) e lì tornerà in altre due occasioni, passando per Brescia e Pisa, Empoli e Cosenza, Carrarese e Cremonese, Napoli e Inter, Piacenza e Torino, Cska Sofia e Ancona, nuovamente Napoli e Siena, Lucchese e Gubbio, per finire con la Cremonese nella stagione 2013-2014.

Proprio all’ombra del Torrazzo si aggiudicò il torneo angloitaliano, lì resta un mito, in senso assoluto, fu artefice del periodo d'oro assieme al presidente Domenico Luzzara. Conobbe anche 3 retrocessioni, due con il Genoa e una proprio con i grigiorossi.

Azzeccato il punto di vista dell’allenatore del grifone Davide Nicola: ”Un giorno mi dicesti: La signorilità nel calcio è l'unica cosa che conta. Grazie, mister”.

Su Repubblica, Enrico Currò ritorna sulla notte più alta, ovvero la Coppa Uefa a Parigi. “Sartor gli aveva regalato un cane, Taribo West quasi lo schiacciava nel festeggiare i gol, Bergomi (convertito libero) giocò a 35 anni il Mondiale di Francia. L’esonero arrivò nonostante le vittorie col Real Madrid in Champions e con la Salernitana in campionato. Simoni, cui era appena stata consegnata la Panchina d’oro, pagò il curriculum.

Era stato Sandro Mazzola, allora direttore sportivo, a portarlo alla Pinetina contro la diffidenza dell’ambiente: “Non aveva allenato grandi squadre e lottai per prenderlo. Il secondo anno persi la battaglia”. Ma il defenestrato era fiero dell’esperienza interista. Ammiratore di Lautaro, era pronto a rivedere ogni partita del passato, tranne quella del ’98 con la Juve. Così come era sceso in C2, per poi risalire fino alla Uefa, dopo l’Inter si era di nuovo inerpicato su sentieri di provincia scoprendosi infine ottimo dirigente e presidente della Cremonese.

Viveva a Pisa con la seconda moglie: fra i drammi della vita, la morte di un figlio in un incidente stradale. Da calciatore fu ottimo trequartista alle soglie della Nazionale. Lo battezzò alla panchina il Genoa nel 1975: esibì presto l’intuito del grande scopritore, lanciando Bruno Conti catapulta di Pruzzo e libero Onofri, futuro simbolo genoano. Il suo ufficio, con i telefonini al di là da venire, era una trattoria della Foce, che De André cita in "Creuza de mä" come culla del dialetto genovese. Bolognese di Crevalcore, la Toscana era ormai la sua terra”.

Chiudiamo noi. Ha avuto un solo maestro, Edmondo Fabbri, che lo volle nel Mantova, il “Piccolo Brasile”. Il suo calcio in provincia ha saputo emozionare altrettanto. All’Inter gli mancò giusto un pizzico di spettacolo, per convincere Moratti. Che peraltro ha presto riconosciuto l’errore di averlo esonerato.

 

Vanni Zagnoli

23.05.20