Il pallone racconta: Comunardo Niccolai

I 70 anni dell'ex difensore del Cagliari

A metà dicembre ha compiuto 70 anni Comunardo Niccolai, il re degli autogol. In realtà in Serie A ne aveva segnati 6, due in meno di Riccardo Ferri (a bersaglio fra l’82 e il ’94) e di Franco Baresi, ma nell’immaginario collettivo resta il punto di riferimento del gesto autolesionistico per il mondo del calcio.
Uno dei più spettacolari fu il 15 di marzo del 1970, al Comunale di Torino, in Juve-Cagliari. Alla mezzora del primo tempo il tedesco Helmut Haller pescò sulla fascia destra Beppe Furino, il capitano della Juve scagliò un cross per la testa di Zigoni e Niccolai deviò con precisione alle spalle di Ricky Albertosi, in uscita con le mani protese.
L’allenatore degli scudettati di quell’anno era Manlio Scopigno, quella volta era in tribuna: “Bel gol, no?”, scherzò con i giornalisti.
Niccolai era così, un difensore eccellente, ma con quel vizietto unico quanto spettacolare. Per la Domenica Sportiva, quella Juventus-Cagliari fu “la partita dell’anno”. E “Niccolai aveva ecceduto in interventi pericolosi”. Segno che era un difensore vero, per l’epoca.

È toscano, di Uzzano, provincia di Pistoia, e contro il Bologna riuscì persino a dribblare Albertosi, nel compiere un’autorete.
Giocò al mondiale di Messico, nel ’70, Italia-Svezia. “Mi feci male subito” - ricordava Comunardo – “al 37’ venni sostituito da Rosato e non rientrai più. Distorsione a un caviglia, dopo un contrasto con Kindvall. Avevo le caviglie ballerine e le fasciavo sempre, quel giorno non lo feci e addio Coppa Rimet”.
Così fece da spettatore a quell’argento iridato.
Nel 2006 Zonza Editori di Cagliari ha pubblicato "Niccolai in mondovisione", libro di Bepi Vigna (111 pagine, 6 euro e 90). Il titolo rimanda alla famosa frase di Manlio Scopigno, allenatore del Cagliari ’70, quando seppe che il suo stopper andava al mondiale, convocato dal ct Furio Valcareggi. "Tutto mi sarei aspettato meno che vedere Niccolai in mondovisione”. Pare però che neanche l’avesse pronunciata. “Scopigno mi voleva bene e parlava di me con affetto”, commentava Comunardo.
Un passo del libro gli rende giustizia: "Niccolai era un artista dell’autorete. Qualcuno ha provato a spiegare certe malefiche traiettorie dei suoi colpi di testa come un effetto determinato dalla particolare piega dei radi capelli".

In Nazionale giocò altre due gare, aveva esordito nell’amichevole in Portogallo, nel ’70, e chiuse in un’altra amichevole, con la Svizzera.
Lo chiamavano agonia, per il fisico asciutto, non perché faceva restare in ansia per quei suoi interventi spettacolari e a volte sfortunati. Era un signor difensore, elegante, non sbagliava più di altri, lo fece solo in maniera eclatante.
“Rammento gli autogol” - spiegava – “uno a Catanzaro nella 300ª gara arbitrata da Concetto Lo Bello, uno a Perugia, uno contro la Roma e uno a Firenze. Al Franchi non avevo colpa perché il portiere, anziché parare, abbassò il braccio e la palla mi rimbalzò addosso. D’altra parte, i miei interventi erano spesso un po’ spericolati e capitava che arrivassi sulla palla scoordinato”.
Ora Niccolai ci ride sopra, ma allora quegli autogol erano un dramma. “Sembrava che ne segnassi 10 a stagione… Per fortuna feci anche 4 gol veri. Mi piacerebbe essere ricordato per il Mondiale ’70, per lo scudetto a Cagliari o per la carriera da allenatore, ma in fondo l’importante è essere ricordati”.

Suo padre era stato portiere del Livorno: era un convinto antifascista e chiamò suo figlio “Comunardo” per la comune di Parigi, il governo di ispirazione socialista che si instaurò nella capitale francese nel 1871. Nome unico.
Iniziò nelle giovanili del Montecatini, poi nella Torres, passò al Cagliari nel ’64, a 18 anni, e vi restò sino al ’76, segnando un autogol anche in coppa. Il più rocambolesco fu contro il Catanzaro, nel 1971/1972, ma in realtà non fu tale, ma un rigore propiziato. Al 90esimo i sardi vincevano 2 a 1, l’ala dei calabresi Alberto Spelta entrò in area ma venne atterrato dal difensore Giuseppe Tomasini. Lo Bello decise di non fischiare il rigore, la palla rotolò tra i piedi di Niccolai, che però pensò di aver sentito un fischio. Forse proveniva dal pubblico, fatto sta che calciò verso la sua porta con un gesto di stizza. La palla stava entrando e il difensore del Cagliari Mario Brugnera si tuffò deviandola con le mani. Lo Bello allora fischiò il rigore, segnato da Spelta, poi giocatore del Milan, e la partita finì 2 a 2.

Nel ’67 fece una puntata in America, ai Chicago Mustangs. Nel ’76-’77 passò al Perugia, in Serie A, e chiuse nel Prato, in C. Allenò il Savoia, la squadra campana di Serie C, nell’80-’81. Dal 1982 è tecnico federale, adesso è in pensione. Guidò la Nazionale femminile nel ’93 e ’94.
"C’è chi mi chiama Comu e chi Nicco”, raccontava.
Ha festeggiato con una chianina ai ferri, un bicchiere di Brunello di Montalcino e la torta fatta in casa. In famiglia, sulle colline di Pistoia, nell’azienda dei figli. Ricordando un record del Cagliari: “Le sole 11 reti subite, nel ’69-’70”. Scudetto e difesa meno battuta della storia. Con Niccolai, memorabile non solo per gli autogol.

Vanni Zagnoli

02.01.17