Il pallone racconta: Cesare Maldini
Non si poteva non voler bene a Cesare Maldini, al suo calcio pane e salame, non ci viene in termine migliore. Facciamo pane e coppa, via, inteso come coppe conquistate con il Milan, da giocatore, e trofei con l’Under 21. Dava spettacolo con giudizio, da allenatore, mentre da difensore centrale era noto per la pulizia di gioco ma pure per gli errori, le famose “maldinate”.
Da allenatore ha allenato club, conquistando anche una promozione del Parma in Serie B, e pure la Nazionale, partendo da vice di Enzo Bearzot, con gli azzurri campioni del mondo e spettacolari già in Argentina, nel 1978.
CALCIATORE. È stato una storica bandiera del Milan, come poi il figlio Paolo. Nato a Trieste nel 1932, esordì a 21 anni nella Triestina, passò al Milan e ci restò sino al ’66. Nel ’63 sollevò la Coppa dei Campioni, con Nereo Rocco (altro giuliano) in panchina. Vinse 4 scudetti. Chiuse la carriera con la maglia del Torino. Era il 1966-1967, disputò 39 partite (3 di Coppa Italia e 3 in Europa), conquistando un settimo posto in Serie A agli ordini di Nereo Rocco.
ALLENATORE. Dal 1986 al ’96 ha allenato l’Under 21, con cui si aggiudicò tre Campionati Europei, di cui uno ai rigori. Vent’anni fa passò sulla panchina della Nazionale maggiore, al posto di Arrigo Sacchi, che tornò al Milan, e raggiunse i quarti nel Mondiale di Francia, uscendo ai rigori per l’errore di Gigi Di Biagio. Aveva utilizzato Baggio in staffetta con Del Piero, uscì "per tanto così”, ovvero per quel gol sfiorato da Roberto Baggio nei tempi supplementari e allora vigeva il golden goal. Aveva gli occhi lucidi, 18 anni fa, restano una delle immagini forti di quella sfida, come pure la sua signorilità nell’accettare la sconfitta e un esonero immeritato.
Con il Paraguay passò il primo turno ai Mondiali di Corea del Sud e Giappone, nel 2002, si arrese alla Germania, poi finalista.
Da allenatore è diventato popolare nel mondo perché le sue qualità umane erano superiori alle tecniche, pur ragguardevoli. Ha insegnato calcio, da italianista convinto, e all’epoca non si convertiva al gioco a zona prediletto da Arrigo Sacchi e da tanti altri.
Verso la qualificazione al Mondiale del ’98, esultò per un pareggio con il Kazakhistan, ma aveva sbagliato i calcoli perché ci rimandò allo spareggio contro l’Inghilterra, poi vinto grazie a Casiraghi e a Zola, e all’epoca certa stampa era stata impietosa.
Distribuì battute e raccolse simpatia, come in quei duetti a bordo campo, a caldo, con Enrico Varriale, l’inviato della Rai. “Bassottino”, replicò una volta con ironia. Ma in fondo il giornalista napoletano aveva contrariato anche Zoff e altri.
A 70 anni lo volevano come ct anche negli Emirati Arabi, ma lui preferì fare il commentatore televisivo, ingaggiato da Al Jazeera, assieme al suo ex giocatore in azzurro, Spillo Altobelli.
NON AMAVA INFIERIRE. Con il Milan, da allenatore, vinse un derby per 6-0 contro l'Inter dell’amico Marco Tardelli, suo ex vice all’Under 21 e poi erede, con titolo europeo conquistato nel 2000. Quella sera ricordò un momento analogo umiliante, vissuto con la Under 21 in Norvegia, pure 6-0, nel 1991. "Ma il calcio è fatto di vittorie e sconfitte, un piatto semplice".
Il “grande Cesarone" è stato capostipite di una dinastia che ha visto il secondogenito Pier Cesare militare nelle giovanili rossonere e il primogenito Paolo (allenato dal padre ai Mondiali di Francia nel '98 e nella parte finale della stagione 2000-2001) diventare una bandiera del Milan, mentre oggi i suoi figli Christian e Daniel giocano nella Primavera e nei Giovanissimi nazionali.
LE TESTIMONIANZE. Qui raccogliamo la galleria di ricordi messi in rete dall’agenzia Ansa, con la regia di Piercarlo Presutti, responsabile della redazione sportiva.
CARLO TAVECCHIO: "Ci ha lasciati un grande uomo e un protagonista assoluto del nostro calcio. Da giocatore prima e da allenatore poi ha legato in maniera indissolubile il suo nome alla storia del calcio italiano. Dopo aver alzato al cielo la Coppa dei Campioni, primo italiano a farlo, ha contribuito in panchina, con stile e professionalità esemplari, a crescere numerosi talenti azzurri, incarnando alla perfezione lo spirito e il ruolo del tecnico federale”.
GIOVANNI MALAGO’: "Il mondo dello sport gli è grato per i valori che lascia a tutti noi, è stato un modello, deve essere uno stimolo. L’Italia sportiva, il Paese intero piange un uomo che non solo per la carriera sportiva, da allenatore, è stato un grande italiano: per lo stile, il comportamento, e quei valori che ha saputo trasferire in una famiglia modello. Tutto il mondo dello sport non può che essergli grato”.
ADRIANO GALLIANI: “È stato un uomo di sport esemplare e un'autentica bandiera del nostro calcio. Tutti coloro che lo hanno conosciuto profondamente ne elogiano l'umanità, la semplicità e la franchezza”.
FRANCO BARESI: "Ci lascia una persona perbene, prima di tutto. È una leggenda e un grande capitano. È un allenatore che ha fatto molto, ho avuto la fortuna di conoscerlo molto bene, condividemmo l'esperienza del Mondiale del 1982. Da lui ho imparato molto, i valori che tante volte dimentichiamo: li ha trasmessi in maniera importante e seria".
GIANNI RIVERA: “Cesare era tra i veterani che al Milan decisero di dividere i premi partita anche con i giocatori che andavano in tribuna, questo è indicativo della sua cultura di calciatore. Era un grande calciatore e un ottimo allenatore. Era uno degli anziani che indirizzava i giovani. I giornalisti all'epoca si lamentavano perché non succedeva mai nulla di sfizioso: il merito era di Maldini e degli altri veterani che facevano crescere i giovani nel modo giusto e li facevano rigare dritto. Era un triestino di razza, viveva con i piedi piantati per terra e con Nereo Rocco si parlava anche senza parole. Cesare aiutava Rocco nelle situazioni delicate e credo che ogni tanto gli parlasse anche della formazione, suggerendo qualche giovane da inserire. È stato il mio capitano, mi ha accolto, 17enne, nello spogliatoio del Milan”.
ANTONIO CONTE: " È stata una delle più grandi figure del calcio italiano. Ho avuto modo di conoscere Cesare Maldini all'inizio della mia carriera, avevo 20 anni, ero nel Lecce e mi convocò per due amichevoli con l'Under 21. Ne ho sempre apprezzato la profonda umanità nei rapporti personali e la grande professionalità in campo. È stata una delle più grandi figure del calcio italiano, sia da calciatore che da allenatore”.
GIGI DI BIAGIO: “Maldini era una grande persona non solo dal punto di vista calcistico ma anche umano, ha dato molto al calcio italiano. Ogni volta che ci vedevano mi scusavo perché non gli avevo dato la possibilità di diventare campione del Mondo, con quel rigore sulla traversa. Ma lui mi abbracciava sempre con un sorriso. Dovevo sposarmi durante i Mondiali e lui mi fa: che problema c'è? Giochi ti sposi e torni”.
NEVIO SCALA: “Mi voleva un bene dell’anima, abbiamo giocato tante volte contro. Lo ricordo come una persona elegante nell'anima. Era una persona straordinaria, altre parole sarebbero superflue".
DANIELE MASSARO: "Ero molto giovane quando l'ho conosciuto ai mondiali dell'82. Da quel momento più che un allenatore è stato un secondo padre”.
LE PAROLE PIU’ BELLE. Le ha forse dette Monsignor Erminio De Scalzi il giorno del funerale nella basilica di Sant'Ambrogio, a Milano, parlando della famiglia Maldini: “Una grande, bella squadra, vincente e orgogliosa del suo capitano, che ha accompagnato ricambiando la sua tenerezza anche negli ultimi tratti della lunga malattia. Dietro il personaggio pubblico, lo sportivo, il volto noto della tv, c'era un uomo con la sua profondità di affetti, l'attaccamento alla famiglia e le sue fragilità. C'era soprattutto un uomo, nel senso più bello. Un marito, un papà, un nonno. Un volto che tutti collegano ad autentiche e sincere gioie dello sport. Era un esempio di signorilità”.
a cura di Vanni Zagnoli
