Andrea Bertolacci (Fatih Karagümrük)

Intervista esclusiva al centrocampista che gioca in Turchia

Del gennaio 1991, romano, fatta tutta la trafila nel settore giovanile della Roma, l’esordio tra i professionisti l’ha fatto col Lecce in serie B (in prestito dalla Roma): promozione in A e debutto nella cosiddetta massima serie non ancora ventenne. Sempre in A, ha giocato via via con Genoa, Milan, ancora Genoa e ancora Milan, Sampdoria e da fine 2020 è in Turchia col Fatih Karagümrük. In azzurro a partire dall’Under 16, ha 5 presenze con la Nazionale maggiore. 

Prima volta all'estero
“Le ultime due stagioni in Italia non erano andate come immaginavo, sia al Milan che alla Sampdoria. Già loro mi avevano contattato in precedenza, la mia prima idea era quella in effetti di restare in Italia, poi non si è concretizzata e loro si sono rifatti vivi. Ho sentito Viviano, Biglia, anche Zukanovic: m’hanno parlato bene, sia della squadra che della società. È la mia prima esperienza all’estero e sono soddisfatto della scelta che ho fatto”.

 

Con Viviano
“Sono qui da solo, la mia famiglia è a Roma. Due bambini, 4 e 2 anni e mezzo, realtà diverse, di mezzo pure il lockdown, abbiamo deciso così. Poi da Roma ci sono tre voli al giorno per Istanbul, spesso vengono loro o torno io. Vivo in un appartamento, da solo, nel quartiere Beşiktaş e un bel po’ di tempo lo passo assieme a Viviano, anche lui qui è da solo”.

 

Meno tattica
“Ho trovato un calcio, come dire, più semplice, meno tattico, parecchio fisico. La pressione la si sente, anche se per noi non è certo pari a quella per Beşiktaş, Fenerbaçhe e Galatasaray, le tre “grandi” di Turchia. Ce ne sono sei di formazioni di Süper Lig qui a Istanbul, una ventina di milioni di abitanti, vivono molto di calcio”.

 

Buon inizio
“Noi siamo una realtà giovane, in tre anni il club è passato dalla C alla A, è adesso che cominciamo a essere conosciuti. Iniziano a fermarmi per strada, chiedono una maglietta, ho fatto un buon inizio di stagione e ripenso al periodo da gennaio a maggio, vissuto praticamente in lockdown, casa-campo, campo-casa”.

 

Pochi tifosi
“Giochiamo nello stadio olimpico Ataturk e di tifosi non è che ne vengano ancora proprio tanti, tra l’altro lo stadio è lontanissimo dal quartiere Fatih, quello della squadra. È là dove ci alleniamo, le strutture sono quello che sono, però c’è il progetto di un centro sportivo”.

 

Made in Italy
“Nello spogliatoio c’è un bel misto di nazionalità e tutto sommato è proprio l’italiano la lingua più usata. Il mister è italiano e oltre a noi tre (ci sono Viviano e Borini) ce ne sono diversi che hanno giocato in Italia, altrimenti ci si arrangia con l’inglese; aggiungo che un po’ tutti qui tifavano Italia all’Europeo”.

 

Sto bene qui
“Di calcio in tv ce n’è tantissimo e continuo comunque a seguire pure quello in Italia. Mi trovo bene qui e posso dire che siamo una grande famiglia, sì: il contratto mi scade a fine stagione, da entrambe le parti c’è la volontà di continuare… sto bene e mi sento apprezzato. Dell’Italia mi manca la famiglia, questo sì, ma poi non troppo altro”.

 

Mentalità aperta
“Sono rimasto impressionato dall’umiltà con cui si pongono, della disponibilità e del rispetto che hanno. Ho scoperto un Paese con una mentalità aperta, non solo in squadra e nella società, ma pure fuori, tra la gente, dai, non è sempre così lì da noi in Italia”.

 

Istambul, Istambul...
“Turista? Sì, qualcosa ho visto, Santa Sofia, il Gran Bazar, in giro un po’ per sti quartieri, i più caratteristici. Ottimi ristoranti, la vista del mare, quei tre ponti che separano l’Europa dall’Asia: tutti dicono che è bellissima Istanbul, ora io lo so”.

Dall'archivio
(Uno-Due-Tre: Andrea Bertolacci su il Calciatore, novembre 2015)

 

UNO
A casa avevo un terrazzo, mia madre che mi spingeva sempre fuori, ma lì non mi piaceva, ero anche figlio unico e preferivo giocare in casa, mi inventavo le cose, tipo calciare e buttare la palla dentro a un secchio, come fare canestro insomma. Ricordo che ne ho rotte di cose, in particolare dei bicchierini di vetro: ce n’erano dieci e ne sono rimasti tre, forse.

 

DUE
M’era venuta sta passione per Roberto Baggio, cominciai anche a tifare Milan. Non so bene perché, forse perché era in Nazionale, i gol che faceva, anche il codino… così me lo sono fatto fare anch’io, per me era proprio un idolo lui: mia madre lo conserva ancora quel mio codino che pure io ho portato per anni.

 

TRE
Penso adesso a quel che mi capita di dire sempre ai ragazzini, di divertirsi il più possibile perché poi, quando ti trovi a che fare col calcio vero, allora il divertimento passa in secondo piano: con la tanta pressione che c’è, diventa lavoro.

17.11.21