Renato Copparoni

"Cagliari. La mia terra, la mia squadra"

Quando e come è iniziata la tua carriera di calciatore?

"Ho iniziato a giocare a calcio da piccolo, nella squadra del mio paese, giocavo centravanti poi mi sono avvicinato al ruolo del portiere e a poco più che quattordicenne ho firmato un cartellino per giocare in seconda categoria nel Monreale. Ho giocato per due anni fino a quando mi vide Mario Tiddìa, ex-calciatore ed allenatore. Io avevo 16 anni, mi chiese i dati e mi face fare un provino con la prima squadra del Cagliari allenata da Scopigno. Andò bene e, nonostante tutte le difficoltà tecniche di un ragazzo giovane, videro qualcosa  in me e mi presero. Giocai nella Primavera allenata da Boldizsár, un allenatore ungherese passato poi dal Cagliari alla Tevere Roma e successivamente anche alla Roma Primavera. Mi prese sotto la sua ala, mi allenavo con lui da solo la mattina e al pomeriggio con la squadra. Il lavoro tecnico dava i suoi frutti ed iniziai cosi ad essere convocato per le Nazionali giovanili da Azeglio Vicini e piano piano in Under 21, Under 23, e la Nazionale Olimpica. Nella stagione 1972/73 feci da secondo ad Albertosi, allenatore Edmondo Fabbri. Albertosi è sempre stato il mio idolo da ragazzo, tre anni prima lo incollavo negli album delle figurine, diventando poi un suo compagno di squadra. Mi volle bene fin da subito, ancora oggi abbiamo un bellissimo rapporto. Tutti mi accolsero benissimo, a partire da Riva, Domenghini. Mi hanno aiutato molto, all’epoca i ragazzi erano molto timorosi. Affrontavi situazioni nuove, il rispetto che avevi per i grandi di quel mondo. Mi hanno messo a mio agio e mi hanno permesso di esprimermi al meglio e cosi ho iniziato a giocare con continuità. Dopo il Cagliari ho vestito la maglia del Torino per 9 anni, ho giocato anche lì con grandi campioni come Graziani, Pulici e mi sono laureato in scienze politiche terminando il mio percorso di studi. Mi sono preso qualche soddisfazione nonostante a Torino abbia avuto meno spazio. Ho comunque sempre dato il massimo anche per quella maglia, sempre il cento per cento. L’ultima stagione in granata fu nel 1986/87, poi passai al Verona di Di Gennaro, Elkjær, Giuliani chiudendo la carriera quando la dirigenza dell’epoca decise di sfoltire la rosa cedendo i calciatori over 30 anche se Mascetti e Bagnoli erano di un altro avviso.  Fu cosi che i tre quarti della squadra dovettero lasciare il Verona".

Cosa significa per un sardo indossare la maglia del Cagliari

"Per un sardo la maglia del Cagliari è tutto. E’ la tua terra, la tua squadra e giocare per la propria terra è qualcosa di incredibile. Infatti non sarei mai voluto andare via. Mi convinsero che l’opportunità era troppo grande per lasciarsela sfuggire ma, fosse stato per me, molto probabilmente sarei rimasto. Il Cagliari in quel momento doveva anche fare cassa, qualche difficoltà c’era ancora dall’anno prima e Riva mi convinse ad andare. Ero molto attaccato alla mia maglia, alla mia terra. Al Toro ho poi provato delle emozioni indescrivibili, sono colori che ti senti veramente addosso. Sono stato bene anche a Verona, dove poi sono tornato anche da allenatore dei portieri nel 1998, con il Chievo. Sono rimasto lì per due anni".

 

Qual è il portiere più forte che hai allenato?

"Ne ho allenati molti di forti. Il più forte in assoluto forse è stato Angelo Peruzzi alla Lazio. Non era altissimo ma aveva una potenza e un’esplosività davvero uniche. Copriva la porta". 

Il ruolo del portiere moderno

"In Italia abbiamo sempre avuto una scuola di portieri eccezionale. Il calcio è cambiato e, con lui, anche il ruolo del portiere. Un ruolo che ha avuto una notevole evoluzione. Prima il portiere doveva solamente parare, difendere la porta. Successivamente hanno assunto importanza notevole le uscite, sia alte che basse coprendo lo spazio anche fuori dai pali. Il passaggio successivo è stato quello di far giocare di più con i piedi arrivando al ruolo di oggi, di un portiere abituato ad impostare il gioco dal basso coordinando di fatto l’inizio dell’azione o le ripartenze. Questo induce maggiormente all’errore. La differenza con gli altri giocatori è che l’errore del portiere è spesso letale. Oggi il portiere può giocare anche 60, 70 palloni a partita e sbagliare è statisticamente più probabile rispetto al passato".

 

Il portiere più forte che vedi oggi?

"Maignan, una scelta azzeccatissima. E’ elastico, gioca bene con i piedi, esce anche bene sulle palle alte. Per me è un portiere completo. In Italia ho sempre creduto anche molto in Meret, sempre affiancato in passato da grandi portieri esperti che forse lo hanno un po' condizionato. Ora che è titolare nel Napoli, si è affermato. E’ libero e sereno e sta dimostrando tutto il suo valore, un portiere molto affidabile all’interno di una squadra che sta andando a mille. Sono molto contento per questo ragazzo, finalmente in grado di esprimere tutte le sue qualità".

28.10.22