La partita che non dimentico

Lino Marzorati (Lecco)

“La prima che mi viene alla mente è quella dell’esordio in serie A, col Milan. Magari è quella che tutti ricordano, certo che per me è stata una cosa incredibile, io che facevo allora la quinta superiore, scuola pubblica, e ricordo l’insegnante di Economia Aziendale, tifosissimo del Milan, anche a Barcellona era andato per la finale della Coppa Campioni contro lo Steaua Bucarest. Il mio esordio è stato il 20 maggio del 2005, certo che me la ricordo quella data, Milan-Palermo 3-3. Io addirittura che sono partito quel giorno da titolare, non me l’aspettavo, solo il giorno prima, fin lì che Ancelotti dava le casacche, qualcosa lo avevo intuito. Io poi che sono sempre stato un milanista e che quell’esordio ho sempre pensato sia stato pure un giusto premio per tutti gli anni che avevo fatto nel settore giovanile del Milan, cominciando che avevo 9 anni, sempre mio padre su e giù ad accompagnarmi. Un gran bel ricordo insomma, che si porta appresso però pure qualcosa di negativo: dopo tre-quattro giorni il Milan giocò quella famosa partita contro il Liverpool, a Istanbul, la finale della Champions League, persa ai rigori dopo che il primo tempo era avanti per 3 a 0”.

“Anche per questo io giocai contro il Palermo, se vogliamo un Milan di seconde linee, anche se tanto seconde linee non erano, ricordo Rui Costa, Crespo e Costacurta che mi stava anche un po’ dietro, io tranquillo e timido, che li osservavo e imparavo, ricordo Seedorf che pure lui mi aiutava e Nesta (siamo andati a rivedere, ecco la formazione del Milan di quel giorno: Abbiati, Marzorati (73’ Perticone), Simic, Costacurta, Pancaro, Brocchi, Rui Costa, Dhorasoo, Serginho, Crespo (64’ Inzaghi I), Tomasson; ndr).
Guarda poi che ad allenarmi nella Primavera c’era Franco Baresi, per me il numero 1, è stato lui l’artefice di quei miei primi anni di A, Empoli inclusa. Quando l’allenatore mi sostituì vincevamo 3 a 1, campionato già vinto dalla Juventus e loro, il Palermo, che avevano più stimoli di noi, forse ancora in ballo una qualche qualificazione, non ricordo”.

“Campionato finito e c’erano comunque 40.000 persone… Quel giorno mi capitò di difendere anche su Toni, lui più alto di me di parecchi centimetri e Bergomi nel suo commento lì a dire che ero in gamba, già smaliziato perché in un paio di occasioni, rischiando un po’ un rigore, l’avevo spostato fin che saltava. Ricordo che Toni l’incontrai l’anno dopo, io con l’Empoli e lui con la Fiorentina: la spinta stavolta me la diede lui e fece gol. Ricordo che lì sul campo ero concentratissimo, non ho visto che il campo. Invece, arrivando allo stadio in pullman, lì sì ho avvertito tanta tensione: m’impressionava tutta quella gente che a piedi andava verso lo stadio ed eravamo ancora piuttosto lontani da San Siro”.

“A che punto sono? Di questi tempi è un periodo che faccio un po’ fatica a capire il mio corpo. Vorrei dare e fare le cose di prima ma mi accorgo che il recupero è più lento, un po’ strano. Capisco insomma che devo gestire meglio le energie e gioco con ragazzi che hanno anche 15 anni meno di me. In partita non ci faccio caso, è in allenamento che la vedo di più questa cosa qui. Con la testa mi sento insomma il ragazzo di sempre, col fisico è diverso e per dire, se penso a quando capitano tre partite la settimana, so già che mi lasceranno cotto: anche ai minimi dettagli devo così stare attento. Però mi rendo anche conto che li posso aiutare questi ragazzi, loro sono fatti come sono fatti, bisogna andarci piano, ma con la mia esperienza posso dar loro una mano, più con le parole che con le gambe. Ho capito che ora come ora posso e devo garantire qualità più che quantità, giocando bene quelle che gioco, aiutando i giovani a come lavorare in un contesto professionale. E comunque sia, dopo tutti questi anni che sono in giro, sono contento d’essere tornato vicino a casa, vicino ai miei genitori”.

“Se potevo fare ancora di più? Mah, forse sì, può essere stata anche colpa mia, ricordo che è stato a Cagliari che la serie A ho cominciato a vederla in pratica solo da lontano, gli infortuni che ho avuto, è là che si è incrinato il mio sogno della serie A. Per come sono fatto io, mi mancava sempre qualcosa per arrivare a 31, facevo 30 e mi andava bene. Eppure da giovane le cose andavano benissimo (con, tra l’altro, tutta la trafila nelle nazionali giovanili; ndr), dai 18 ai 24 anni ero stato perfetto, poi forse mi è mancata la cattiveria per insistere e sfondare, mi bastava la sufficienza, non ci pensavo a farmi notare di più. Un po’ di cose tutte assieme, la mia mancanza pure di una certa spavalderia, qualche trattativa non andata a buon fine, chissà, gli infortuni e pure un carattere un po’ chiuso. Non sempre sono stato fortunato, ecco, però so che il mio massimo l’ho sempre dato, non ne ho di rimorsi. Al dopo so che ci dovrei cominciare a pensare, qualche anno lo voglio ancora giocare e credo mi piacerebbe poi aver a che fare con i ragazzini, anche i bambini, sento che potrebbe essere uno stimolo ulteriore. Non so dove mi porterà il futuro, non so a che livelli, dipenderà anche dalla famiglia, ne abbiamo due di figli, una fa danza e l’altro è già in una scuola calcio, gli piace”.

 

Pino Lazzaro

15.02.21