IO E IL CALCIO... DAVIDE RE
“Di sport da piccolo ne ho fatti proprio tanti, anche un po’ di calcio, assieme a tennis, equitazione, barca a vela, altri ancora. Era soprattutto giocare, come con l’atletica, si correva a scuola e poi facevo lo stesso al pomeriggio. Poi la pallavolo e lo sci, nei fine settimana, a Limone Piemonte. Via via crescendo, ho iniziato a eliminarne qualcuno, anche l’arrampica sportiva ho provato, e ne sono rimasti tre: in settimana la pallavolo e l’atletica, lo sci nei weekend. Attorno ai 14 anni ho insistito più sullo sci, sport che richiede parecchio, anche da un punto di vista economico, per questo c’è il pericolo che i ragazzini possano pure essere “spremuti”, in modo che riescano a entrare in qualche gruppo sportivo, così da sgravare un po’ le spese per le famiglie. Ho lasciato così la pallavolo e ho continuato con l’atletica, soprattutto come preparazione per lo sci. Risultati li avevo comunque buoni con entrambe le discipline: a 15 anni mi sono infatti piazzato 3° nello slalom al Trofeo Topolino e 1° nei 300 metri nel Criterium Cadetti di atletica. Sentivo però che mi trovavo più a mio agio con l’atletica, meno variabili che con lo sci, il tracciato, le parti di neve ghiacciata o quella riportata, questo mi condizionava, meglio correre, se stai bene e ti sei allenato bene, vai. Così, a 16 anni, dopo il 6° posto nello slalom con gli sci agli Italiani, con appena due mesi di preparazione mi sono ritrovato a correre i 400 metri ottenendo il minimo per partecipare ai Mondiali U18 di Bressanone, arrivando poi sino alla semifinale. Con lo sci ho continuato sino ai 18 anni, sono arrivato a prendere il diploma di maestro di sci, poi stop”.
Futuro professionista
“È stata proprio quella convocazione in Nazionale per quel Mondiale U18 a farmi pensare, magari potevo anche arrivare a fare il professionista, chissà, io poi che sono sempre così autocritico. Fin lì insomma avevo ‘giocato’, potevo provare a farla insomma sul serio l’atletica, anche se i primi due anni non ho fatto altro che farmi male, sempre dietro, ai bicipiti femorali, infortuni su infortuni: con lo sci erano i quadricipiti quelli forti e non ero così bilanciato. È stato più avanti, 19 anni, da juniores, che ho cominciato a capire che stavo meglio”.
“Sono soprattutto un agonista, in gara vedo rosso, vado più forte che in allenamento. Più le sento le gare alla vigilia, più le patisco, meglio vado”.
Un lavoro
“Sicuro che è un lavoro, a tutti gli effetti. La prima cosa per forza di cose è e deve essere la passione, è lei che ti permette di fare quei sacrifici che tu così non senti tali. Ho così smesso allora pure l’università, ho messo tutto da parte, anche famiglia e amici, trasferendomi a Rieti, per provare così ad arrivare, per vedere quale poteva essere il limite. Fare l’atleta – ed è questo che in genere fa fatica a capire chi guarda da fuori – non sono solo quelle tue ore di allenamento, no, è a 360° che devi essere professionista, allenamenti intensi, lì a contare le calorie quando mangi, il dietologo, il nutrizionista, dal fisioterapista e dall’osteopata per prevenire gli infortuni, riposare quando serve. Sì, sono uno che si dedica proprio a quel che faccio, tante rinunce che mi trovo comunque a far volentieri. Il privilegio che ho è quello di fare del mio lavoro, la mia passione, vale per tutti i lavori, è questo il privilegio, non quello d’essere pagato per fare dello sport: sono convinto che il 90% dei miei amici non sarebbe in grado di fare quel che sto facendo io”.
6 giorni su 7
“Anche per noi la preparazione dipende dal calendario, molta più quantità lontano dalle gare e via via più intensità avvicinandosi alle competizioni. La nostra stagione, quella outdoor, va grosso modo da maggio a settembre. Molti atleti, anche per combattere un po’ la monotonia, fanno pure l’indoor, gennaio-febbraio, che io però non faccio, anche perché con quel tipo di pista, 200 metri il giro e con le curve sopraelevate, mi ci trovo poco. D’inverno così, grosso modo, la mia settimana tipo prevede un doppio allenamento il lunedì (forza in palestra al mattino e lavori aerobici al campo al pomeriggio); uno al martedì (muscolazione generale, addominali, lavori con elastici, andature miste ecc. a cui aggiungo al pomeriggio una seduta col fisioterapista); doppio al mercoledì (forza a carico naturale, balzi e pliometria al mattino; misto aerobico e più velocità, ma non lattacida, al pomeriggio); uno al giovedì con lavori posturali, stretching eccetera, tornando magari pure dal fisioterapista; doppio il venerdì (forza con pesi in palestra al mattino e tecnica di corsa al pomeriggio), con infine un richiamo con maggiore intensità il sabato”.
“Ho ripreso a dare degli esami, per un po’ avevo proprio rallentato. Da fine 2018 ho ricominciato a darne, sono riuscito a organizzarmi. Ho quasi 28 anni, non posso durare più di tanto e sto studiando Medicina perché voglio diventare medico”.
Le gare
“Nella stagione delle gare, come detto mettiamo meno quantità e più qualità. Di doppi ne facciamo giusto uno o due la settimana, con meno forza, su distanze più corte e con recuperi più ampi. Così il lunedì facciamo forza al mattino e allunghi al pomeriggio; velocità con un riscaldamento bello lungo, anche un’ora e mezzo, al martedì; forza a carico naturale al mercoledì; lavori lattacidi al giovedì sui 150-200-300 metri, con intensità alta; giusto posture al venerdì e un misto tra velocità e tecnica di corsa al sabato”.
Ho un sogno
“L’obiettivo che a cui sto puntando è la finale olimpica, che vuol dire per me arrivare a correre in 44.50 e non è tanto il tempo in sé il traguardo, ma il fatto che è con quel tempo che posso esserci nella finale. Se poi mi chiedi quale sia il sogno, dico solo che ce l’ho, qualcosa in più ma mi fermo qui. Per il dopo finirò intanto gli studi, penso magari di specializzarmi come ortopedico, non mi dispiacerebbe poter lavorare poi con gli atleti”.
Cuore bianconero
“Allo stadio, a Torino per vedere la Juve, ci sono stato qualche volta. Le partite capita che le guardi in tv, con gli amici. Per conto mio guardo solo quelle della Nazionale e quelle di Champions se ci sono le italiane. Fin da bambino simpatizzo per la Juve, per coerenza anche quand’era in B, ma non è che la guardo a tutti i costi. So bene qual è la legge del mercato, il pubblico vuole calcio e così i giornali si adattano per poter vendere, quasi c’è un unico sport insomma da noi. Una questione soprattutto culturale, proprio di cultura sportiva e solo quando davvero l’avremo rifondata qui da noi, si potrà dare spazio e visibilità pure ad altri sport: ora come ora non c’è proprio niente da fare”.
LA SCHEDA
Classe 1993, di Imperia, finanziere scelto con le Fiamme Gialle, Davide Re è il primatista italiano dei 400 metri, primo azzurro a correre sotto la barriera dei 45 secondi nel giro di pista. Diplomatosi in scienze sociali allo ski-college di Limone Piemonte, è iscritto ora alla facoltà di medicina dell’ateneo di Torino. Dal 2016 vive a Rieti per farsi seguire dalla sua allenatrice, Maria Chiara Milardi ed è sceso per la prima volta sotto i 46 secondi nel 2017, migliorandosi sino a 45.40. Nel 2018, con il successo ai Giochi del Mediterraneo, si è portato a 45.26, realizzando poi nel 2019 il primato nazionale dei 400 metri dapprima con 45.01 e infine con l’attuale 44.77 (a La Chaux-de-Fonds, in Svizzera). Ai Mondiali di Doha (settembre-ottobre 2019), ha sfiorato la finale nel giro di pista e ha trascinato la staffetta 4x400 al sesto posto iridato.
(autore: Pino Lazzaro)