Il pallone racconta: i 50 anni dell’AIC

Il 3 luglio del 1968 nasceva il sindacato dei calciatori

Senza i calciatori, che mondo sarebbe? E allora è inevitabile che ci sia il sindacato e il mezzo secolo va celebrato.
L’Italia è strana, finisce che i primattori spesso vengono sfruttati, irrispettati, strumentalizzati. Finiscono ostaggio di procuratori, di intermediari, di presidenti e ds, di dg e mogli, di fidanzate e parenti, e allora per molto serve il sindacato.
Prima di raccontare la storia, fotografiamo l’attualità, ovvero basta sfogliare la rivista “Il Calciatore” per vedere le firme e chi c’è dietro la struttura con sede a Vicenza. Vicenza solo perché il presidente Sergio Campana, adesso onorario, è di Bassano del Grappa. Come Agnolin, il re dei fischietti.
C’è da chiedersi come avessero fatto i calciatori sino al 1968, appunto senza sindacato, senza l’avvocato Campana, senza gli avvocati. Certo, pensavano a tutto i presidenti e i tragattini, i mediatori - affatto culturali - e i ds. Non c’erano ancora le agenzie di pubblicità né i manager a 360°, non c’erano i diritti di immagine né gli stop in tribuna o sala stampa o mixed zone per salvaguardare le esclusive della tv.
Succedeva anche che Beppe Viola intervistasse Gianni Rivera in autobus, quello magari negli anni ’70, o che il regista Nanni Loy facesse candid camera, tipo le nostre di notte in Emilia Romagna.
Adesso l’AIC è presieduta da Damiano Tommasi, molto amico del simile Demetrio Albertini. Meritavano la presidenza federale, chissà mai se ci arriveremo, se chi scrive farà in tempo. Il dg è un giornalista, Gianni Grazioli, naturalmente di Vicenza. E poi c’è la struttura, molto composita, di collaboratori e firme, di grandi ex come Pino Lazzaro, già editorialista di Tuttosport e de Il Gazzettino.
Su tutti veglia il grande rosso, dalle sopracciglia appuntite, Sergio Campana. Da decenni scrive il Gazzettino, del nordest, appunto.
E poi ci sono i consiglieri, le consigliere, il calcio femminile di fatto dominato da Katia Serra, personaggio televisivo e amica delle giocatrici. L’abbiamo incrociata a Reggio, più volte, al Mapei e al Mirabello, magari proporre dei moduli da firmare alle ragazze.
L’AIC tutela tutti, soprattutto i giocatori delle società fallite. Ne abbiamo letti, visti, seguiti, ripresi, memorabile la faccenda del Modena, quando i 6 fuori squadra ci chiedevano di documentare l’esclusione immotivata, mentre Caliendo e lo stesso Eziolino Capuano, bizzarro tecnico, ci facevano cenno di evitare. In genere le riprese danno noia a tutti.
Ci sono i ricchi, stranieri e azzurri, ma anche i normali, i calciatori di Serie C, di Serie D, gente che ha grandi piedi - memorabile il sinistro di Andrea Talignani nel Brescello, in D, e Beppe Alessi, da Champions, in B solo per una stagione - o grande corsa ma mai arriva alla popolarità.
Pensiamo a Massimo Crippa, a 22 anni passato dal Pavia al Parma, poi al Napoli, con presenze in Nazionale. I corridori non sempre raggiungono l’azzurro.
Per non parlare dell’universo rosa, di donne che vanno trattate da donne, con sensibilità e attenzione. Pensiamo ai contratti pubblicitari, alle ospitate tv, ai procuratori senza scrupoli, ai ragazzini inseguiti dagli agenti, dagli agenti senza titoli, ai titoli roboanti dei media che fanno perdere la testa ai calciatori. “Di fronte ai primi grandi soldi” - rifletteva Franco Dal Cin, il trevigiano che portò Zico a Udine e Futre alla Reggiana – “i nigeriani perdono la testa”.
Capita di perderla di fronte a false accuse di scommesse o partite vendute, capita di perderla di fronte a condanne immeritate, a condanne anche meritate, e allora succede che anche l’AIC diventa psicologa. Giovanni Bia, parmigiano, ex Inter e Bologna: “Il procuratore, il lunedì, è anche un po’ motivatore, soprattutto per chi è rimasto in panchina”.
Nel calcio c’è pure l’abitudine di non pagare gli ultimi mesi, di chiedere un robusto sconto in caso di retrocessione o di obiettivo fallito, adesso ci sono i contratti a bonus, i bonus soprattutto per l’estero. L’AIC assiste, persiste, in pochi hanno un figlio avvocato, come Pierfilippo Capello, regista delle firme di papà Fabio.
I calciatori chiedono di contare di più, giustamente, perché senza di loro non ci sarebbe spettacolo. A noi piacciono tanto le curve, i tifosi, le belle, i belli, le wags e i figli imbandierati, ma senza appunto i giocatori non c’è party, non c’è game. Gioco, partita, incontro.
Mica siamo nel tennis, lo sport è proprio di squadra.
Se il mestiere di calciatore è il più bello del mondo, i sindacalisti dei calciatori non sono così ilari, hanno meno donne e meno soldi, meno pubblicità e magari, sì, un pizzico di potere.
C’è anche da difendere da attacchi gratuiti, alla Mino Raiola contro Buffon o contro la Federazione.
Ci sono giocatori che si sono rovinati, ne abbiamo raccontati tanti, negli anni, uno è durato poco, Dante Bertoneri, ciclicamente contatta tutti i giornalisti per chiedere aiuto. Il calcio, insomma, dà anche alla testa. Nessuno è perfetto, diciamo che l’Assocalciatori serve anche a evitare errori capitali.
Sono i soliti giorni caldi, per il pallone italico, con società di Serie B e C vicine a saltare in aria, c’è sempre superlavoro in Contrà delle Grazie. E mica è detto che da un fallimento arrivi un record, le 3 promozioni del Parma.
Certo, se l’Italia ha mancato il secondo Mondiale della storia, dopo numerosi Europei (ma dal ’94 era sempre stata presente alle grandi manifestazioni), è stata colpa anche dei calciatori.
L’ultimo pensiero è per grandi e piccoli che sono lassù, Davide Astori e tanti altri. Figurine che non ci sono più, evaporate. L’Assocalciatori li ricorda, aiuta chi si è perso, aiuta le famiglie. I calciatori sono anche brave persone, padri di famiglia. Gente perbene. L’integrazione avviene anche negli spogliatoi.
Ci risentiamo fra 10 anni, allora. Magari con un presidente ex calciatore.

Vanni Zagnoli

02.07.18