Il pallone racconta: Giancarlo Galdiolo

La scomparsa dell’ex calciatore della Fiorentina

Giancarlo Galdiolo ha combattuto per 8 anni con un male che non perdona, si è spento nel fine settimana, a quasi 70 anni, per una rara e inesorabile forma di patologia degenerativa, una Sla aggravata dalla demenza senile.
Ne avevamo raccontato la storia per “Il Giornale” e per il “Gazzettino” nel 2010 e con noi altre testate, da allora sul suo percorso doloroso era rimasto il silenzio, in base alla volontà della famiglia, in particolare del figlio Alessandro.
Galdiolo è stato un eccellente libero-stopper, negli anni ’70, all’epoca era molto popolare e ci si chiedeva dell’accento, se cadesse sulla i o sulla o, dunque se Galdìolo o Galdiòlo, perché sentivamo entrambe le versioni.
Giocò 229 partite nella Fiorentina, dal ‘70 all’80. Alla fine dello scorso decennio furono i familiari a raccontare il dramma al “Blu Clinic” di Bagno a Ripoli, in provincia di Firenze, dove l’ex difensore era stato seguito quotidianamente, per la variante della Sla. Sulle cause della sua malattia la procura della Repubblica di Firenze avviò accertamenti per lesioni, nel febbraio 2017.
La sclerosi laterale amiotrofica ha colpito una cinquantina di calciatori, fra i casi più strazianti Adriano Lombardi (cresciuto in viola) e Gianluca Signorini, mentre Stefano Borgonovo era diventato il paladino di questo sfortunatissimo gruppo.
È la nona vittima fra i calciatori della Fiorentina degli anni ’60 e successivi decenni, eppure la procura non è arrivata a rinviare a giudizio, sul sospetto doping.
Armando Segato, difensore toscano dal ‘52 al ‘60, morì a 43 anni, nel ’73; Bruno Beatrice di leucemia, nell’87, a 39: c’è il forte sospetto che a scatenare il tumore del sangue sia stata una terapia a base di raggi Roentgen, prescrittagli da giocatore a Firenze per curare una pubalgia. Nel 2009 la procura di Firenze archiviò due inchieste (una per prescrizione) relative alla sua morte.
Francisco Lojacono, oriundo argentino, giocò a Firenze 4 stagioni, è deceduto nel 2002. L’anno successivo Nello Saltutti venne stroncato da infarto a 56 anni, poi Ugo Ferrante, 59enne libero dell’ultimo scudetto viola, per tumore alla gola.
Giuseppe Longoni, terzino sinistro della Fiorentina dal ’69 al ’73 è morto di vasculopatia nel 2006, mentre a un ragazzo delle giovanili, Marco Sforzi, è stato fatale un linfoma. Il portiere Massimo Mattolini subì un trapianto di rene, a lungo fu dializzato: “Avevo abusato di Micoren e Cortex”, confessò. Viola dal ’73 al ’77, è deceduto quasi un decennio fa. Giorgio Mariani è stato vittima di un tumore. Sopravvissuti a infarto Ricky Albertosi e Giancarlo Antognoni, guariti da malattie gravi Mimmo Caso (neoplasia al fegato) e Giancarlo De Sisti.
Certamente hanno inciso i medicinali per accelerare il recupero da infortuni, compresa la corteccia surrenale.
“Mai notato nulla di anomalo, negli spogliatoi” – giura Nevio Scala, 71 anni, di Lozzo Atestino, a Firenze dal ’71 al ’73. “Certo l’incidenza è sospetta, nel calcio, ma uno studio dell’Università di Padova esclude legami particolari fra Sla e calciatori”.
Sul tema, il giornalista di Avvenire Massimiliano Castellani aveva pubblicato “Il morbo del pallone” (Selene Edizioni), seguendo l’indagine a Torino di Raffaele Guariniello.
“Al mondo la Sla colpisce una persona ogni 100mila, fra gli ex calciatori almeno 7-8” - spiegava la firma della redazione sportiva e di cultura del quotidiano cattolico. “Abbiamo riscontrato 50 casi considerando 30mila atleti. Magari è colpa dei pesticidi usati sui campi, dei traumi, dei farmaci, dopanti o meno: la malattia è multifattoriale”.
Altre squadre molto colpite sono state la Sampdoria, dove pure giocò Galdiolo, il Cesena e il Bologna, il Genoa e il Como. “Ma persino l’Inter di Herrera”.
Sino ai 60 anni, Galdiolo disputava ancora le partitelle con gli amici, finché all’improvviso non si ritrovò più autosufficiente, poiché mente e corpo non rispondevano più.
“Per noi la sua malattia era peggio della Sla, non riuscivamo neanche a comunicare con lui” - spiegava Alessandro. “Soffriva di una demenza frontotemporale, che generava un deterioramento cognitivo, partendo dal cervello. Prima allenava i bambini, finché nel dicembre del 2009 sembrava assente, mentalmente: gli esami avevano escluso l’Alzheimer, evidenziando però quanto fossero compromessi il cervello e il neurone motorio”.
E così quel durissimo stopper padovano era diventato irrequieto, chiedeva della moglie Maria Rosa, che lo assiste 24 ore su 24, con la figlia Eleonora, infermiera. Sostegno economico è arrivato dall’Associazione ex viola, rappresentata da Moreno Roggi e da Antognoni, da Giovanni Galli e dell’ex centravanti Claudio Desolati, dal libero Roberto Galbiati e dall’ex stopper e capitano Lorenzo Amoruso.
La malattia non si poteva arrestare, comunque Giancarlo Galdiolo ha resistito 8 anni.
“Aveva perso 8 chili” – confessò all’epoca il primogenito Alberto – “nonostante mangiasse tante proteine. L’avevamo portato in cinque cliniche, chiediamo aiuto alla ricerca”.
Il professor Giorgio Galanti, medico della Fiorentina, ha studiato mille calciatori per vedere se anche questo caso fosse collegabile allo sport. “Papà giura di non avere mai preso nulla, dicevano i figli.
Nell’800 si parlava di morbo di Charcot, per i contadini. “Ecco, i giocatori possono essere considerati lavoratori della terra privilegiati”, osservava il giornalista Castellani.
Galdiolo risiedeva a Castrocaro Terme, in Romagna, dopo il ritiro dall'attività agonistica e il matrimonio con Maria Rosa, insegnante di educazione fisica, nella cittadina forlivese. Con lei ha affrontato con estrema dignità il calvario della malattia.
Nato a Villafranca Padovana il 4 novembre 1948, da calciatore Galdiolo era cresciuto nel Padova ed era poi passato al San Donà e all’Almas Roma prima di approdare nel 1970 alla Fiorentina. Dove vinse la coppa Italia nel 1975. Nell’80 passò alla Sampdoria, per due stagioni in B, contribuendo al ritorno in A dei blucerchiati. Lo chiamavano il gigante buono, esordì anche in Nazionale Under 23. Concluse la carriera nel Forlì, allenò a Rimini e a Castrocaro.
Era chiamato anche il “pappa”, nomignolo tratto da Pappagone, personaggio immaginario dell’epoca inventato da Peppino de Filippo. Per il ciuffo ribelle e una certa somiglianza alla maschera napoletana nella capigliatura.
Per altri era “badile”, per la tecnica non proprio raffinata.
Rinunciò alla fascia di capitano perché un altro Giancarlo, Antognoni, rampante fuoriclasse, la meritava più di lui.
Un titolo de “La Nazione”, all’indomani del Fiorentina-Juventus del 26 febbraio 1978: “Il colpo di testa che fa dormire”. Perché in quella giornata uggiosa, il “pappa” svettò imperioso e pareggiò il vantaggio di Boninsegna. Fu anche grazie a quel punticino che la Fiorentina di Beppe Chiappella guadagnò una miracolosa salvezza (la seconda alla quale Giancarlo contribuì), e forse fu proprio grazie a quel ciuffo ribelle che il Galdiolo riuscì a indirizzare il pallone alle spalle di Zoff. E mandare a letto più tranquilli i tifosi viola.
“Parlava a fatica” - rivela il figlio Alberto, preparatore atletico del Santarcangelo, in Serie D – “e pensavamo fosse un problema odontoiatrico. Poi dimenticava le cose e temevamo un principio di Al-zheimer. Abbiamo girato vari ospedali e alla fine è arrivata la diagnosi di Sla con demenza. Era un sollievo pensare che papà da un certo momento in poi non capisse, però a volte, quando un ex com-pagno veniva a trovarlo, gli scendevano le lacrime dagli occhi, così ci ritornava il dubbio che fosse presente a se stesso e si rendesse conto”.
La famiglia Galdiolo non accusa nessuno: “Papà per primo, finché è stato lucido, ci ripeteva come il pallone non c’entrasse nulla con la sua patologia. Conosciamo i numeri dell’incidenza della Sla nel calcio, però certezze scientifiche non ce ne sono. Non siamo persone da ricerche su Google, ci fidiamo della medicina. Vogliamo ringraziare i suoi ex compagni, che gli hanno voluto bene fino all’ultimo: Antognoni, Guerini, Roggi, Giovanni Galli, Desolati e tanti altri”.
I funerali sono stati martedì, a Castrocaro, nella chiesa di San Francesco e San Nicolò. A centinaia gli hanno detto semplicemente “ciao, gigante”.

Vanni Zagnoli

13.09.18