IL PALLONE RACCONTA: DIEGO ARMANDO MARADONA

I 60 anni del Pibe de Oro

“Maradona è megl’è Pelè...”. Cantavano così i tifosi del Napoli, per 7 anni. Diego è stato il più grande visto in Italia, più ancora di Cristiano Ronaldo. Ha portato due scudetti in Campania, gli unici, ha vinto un mondiale da solo, con l’Argentina, e l’ha portata in finale, a Italia ’90. E magari si sarebbe ripetuto, nel ’94, se non fosse ripiombato nella droga.

Diego compie 60 anni, oggi, nel tempo è diventato un’icona sbiadita, rovinato dalle conseguenze della tossicodipendenza, il sovrappeso, gli alti e bassi d’umore, tipici anche di chi scrive.
Tanto grande è stato in campo, tanto vulnerabile fuori. Memorabile quando al “Processo del Lunedì” Alberto Caprotti, per 20 anni capo dello sport di Avvenire, si vide sbucare Gianni Minà, un quarto di secolo fa. Fu una bella trappola di Aldo Biscardi, che all’epoca furoreggiava. Dalle colonne del quotidiano cattolico, Caprotti osò criticare l’agiografo di professione, che Gianni Melidoni sempre su Rai3 definì lacchè. Dunque Minà difendeva il Dieguito che usava la cocaina. Aveva ragione Caprotti: “Non lo stai aiutando”. E Minà: “Ti auguro di avere un quarto della mia carriera”.

Maradona ha reso grandi, di gloria riflessa, tanti giornalisti. Giuseppe Pacileo de “Il Mattino” gli diede un 3,5, giusto per passare alla storia. Diego era amico di Giampiero Galeazzi, l’uomo degli scudetti negli spogliatoi, riproposti in questi mesi da Raisport. E poi di Fidel Castro, fumavano il sigaro insieme, a Cuba.
Diego è stato costume, raccontato anche da Luciano De Crescenzo, il filosofo napoletano.
Diego è stato grande in un Napoli che non era enorme. Nell’86-87, i titolari erano: Garella; Bruscolotti, Ferrara; Bagni, Ferrario, Renica; Carnevale, De Napoli, Giordano, Maradona, Romano.
Con Azeglio Vicini ct, non era come adesso, che arrivano in Nazionale a centinaia, con il metro di oggi chissà quante partite in azzurro avrebbe giocato Moreno Ferrario, non ci arrivò. Era un ottimo stopper, anche Renica un bel libero, ma è gente che senza Maradona poteva anche non arriva in Europa, in quegli anni si usciva spesso al primo turno.

Maradona ha cambiato la storia di una città, anche della cultura italiana, portando il sud al centro del dibattito.
Negli anni abbiamo incontrato o parlato con tutti quegli 11, escluso proprio Maradona e forse Bruscolotti. Giocare e vivere con quel campione deve davvero riempire la vita, anche dopo. I ricordi.
Di recente abbiamo visto Francesco Romano, alla presentazione a Reggio del libro di Leo Turrini, firma di Qs, e lì raccontava il suo Maradona. Reggiano, era arrivato dalla Triestina, squadra di Serie B, per essere il regista del primo scudetto. A chi parla di Maradona brillano gli occhi, è come chi ha conosciuto Cassius Clay (e lì ritorniamo a Gianni Minà). Allenatore, naturalmente, è Ottavio Bianchi, del primo scudetto.
Vinsero anche la Coppa Italia e la Uefa e la Supercoppa.
Ma c’erano anche signore riserve, come Volpecina e Bigliardi.
L’altro scudetto è dell’89-’90, con Careca, Alemao e la monetina. Poi arrivò Silenzi, in panchina c’era Albertino Bigon, con altri gregari, una squadra che viveva sulle individualità.
A quel Maradona è mancato solo un acuto in Coppa dei Campioni, eliminato dal Real Madrid al secondo turno e poi ai rigori dallo Spartak Mosca, in quella partita di fine estate, in cui arrivò senza essersi allenato, dopo il mondiale.

Diego era la classe, il sinistro, le punizioni, i dribbling. Diego nel calcio di oggi sarebbe stato ancora più determinante, perché al secondo fallo commesso magari il difensore sarebbe stato espulso, mica come Gentile, anche contro Zico.
Diego, dunque, era, resta, il più amato dai campani, via, perché di certo quel Napoli era tifato anche nelle altre province.
Piaceva all’avvocato Agnelli, a Boniperti. Diego parlava in terza persona, Diego. Diego ha anche perso, come quella in Coppa Uefa, contro il Werder Brema, 5-1, nell’anno dello scudetto. “Diego, Diego, ah, ah, ah”, cantava la curva tedesca.
Diego fu anche bronzo in una Copa America, Diego avrebbe meritato di essere in rosa al mondiale del ’78, come Ronaldo invece fu nel Brasile campione del 1994. Ha cambiato la storia del calcio, portando gli unici scudetti al sud. Diego avrebbe potuto essere ancora più longevo, se fosse stato più moderato, fuori dal campo. È stato anche ct dell’Argentina, in Sudafrica 2010. Scelta senza senso, a nostro avviso, non fece giocare Milito, per esempio, ma questa è un’altra storia.
Diego, hai reso il sud meno antipatico al nord. Con quella faccia da argentino sei stato perfetto per Corrado Ferlaino.

Vanni Zagnoli

30.10.20