Il caso Cavani: una decisione anglo-centrica

Razzismo e dintorni

A distanza di circa due mesi e quindi a giochi fatti si può tentare di esprimere un’opinione sul caso Cavani/English FA.
Il tema è scivolosissimo, perché mette in relazione la giusta e doverosa battaglia contro le discriminazioni intrapresa da istituzioni sportive e non a livello globale con l’esigenza, non per questo meno degna, di non rendere la propria vita quotidiana perennemente soggetta al giudizio di uno o più tribunali dell’ortodossia politicamente corretta.
L’antirazzismo in genere, come acutamente evidenziato da molti osservatori e commentatori politici, deve/dovrebbe avere una matrice universale e condivisa piuttosto che risentire quasi esclusivamente di sensibilità e percezioni provenienti dal mondo anglosassone (USA, Gran Bretagna ed Australia in particolare).

 

AFU in difesa di Cavani

Nella fattispecie, durante una conversazione sui social Cavani ha utilizzato con un conoscente un termine che, in Uruguay ed in tutto il Sudamerica di lingua spagnola, non ha alcuna connotazione offensiva o razzista, ma che anzi esprime confidenza e colloquialità.  Ebbene, la English FA lo ha sanzionato con 3 turni di squalifica e 100.000 sterline di multa tra l’esultanza di gran parte della stampa europea e di qualche collega calciatore o ex.

Il sindacato dei calciatori dell’Uruguay AFU (leggi qui la nota) ha difeso il proprio connazionale accusando la English FA di esprimere, nell’irrogare una sanzione così severa, un “pregiudizio, dogmatico ed etnocentrico… Edinson Cavani non ha mai avuto un comportamento che possa essere interpretato come razzista… ha solo utilizzato un'espressione che viene comunemente utilizzata in America Latina per rivolgersi affettuosamente a una persona amata o ad un amico intimo. Sostenere che l'unico modo di interpretare un fatto rientri nella discrezionalità dei dirigenti della Federcalcio inglese è in realtà un vero atto discriminatorio, riprovevole e contrario alla cultura uruguaiana”.

Una visione anglo-centrica

Francamente, nel caso specifico è difficile dare torto ai colleghi uruguayani: Cavani gioca e lavora sì in Inghilterra ma il messaggio era rivolto ad un connazionale ed utilizzava forme e modalità comuni e socialmente accettate in Sudamerica. Come ha espresso il prof. Federico Faloppa, docente italiano di linguistica all’Università inglese di Reading, il post non era razzista e il rispetto della pluralità e del multiculturalismo prevede che non debba essere imposta una visione anglo-centrica del concetto di libertà di espressione.
Ciò vale soprattutto quando si delibera all’interno di istituzioni globali (la Premier League lo è, vi giocano calciatori di 59 nazionalità), dove percezione e sensibilità devono rappresentare non solo due o tre nazioni e/o culture, e dove le eredità storiche sono difformi e quelle coloniali a volta inesistenti.

Il caso Cavani è quindi esemplificativo: l’applicazione calvinista di protocolli in sé meritevoli può portare a decisioni ingiuste ed irrispettose, o vissute come tali, e va/andrebbe evitata l’imposizione di un pensiero unico che, storia di queste ultime settimane, può portare senza reazioni di nota alla censura di uno storico cartone animato solo perché tra i protagonisti c’è un gatto dagli occhi a mandorla.

 

(autore: Stefano Sartori)

02.03.21