Pallone e dintorni: Simone Romagnoli

Intervista esclusiva al difensore dellEmpoli

Allora, come è iniziato tutto?
“Sono cresciuto in una famiglia che ha sempre guardato allo sport e prima di tutto al calcio, i miei genitori, gli zii e pure mio fratello, più grande di me di due anni. Avevo 5 anni, facevo sia minibasket che calcio, me la cavavo bene in entrambe le cose ma dovevo scegliere e visto che mio fratello faceva calcio è venuto naturale che facessi lo stesso. A Cremona, oratorio del Cristo Re, 200 metri da casa, in fondo alla strada. Ho cominciato e subito con quelli più grandi di me di due anni, i miei lavoravano, meglio così portarci tutti e due assieme”.

 

La Cremonese
“Avevo quasi dieci anni, loro, la Cremonese, avevano deciso di fare i pulcini, mi presero. Dopo un po’ di mesi subito con gli esordienti, ero bravino. Ci si allenava in città, si cambiavano spesso i campi, non c’era ancora il centro sportivo come c’è adesso. Era spesso mio nonno quel che mi portava in giro, m’aspettava a volte fuori dalla scuola e ricordo le sue battute, il suo lamentarsi perché ero sempre uno degli ultimi a uscire dal campo. Sono cresciuto così, con ragazzi tutti della mia età, società che allora era così così, quello era il campo, con uncontainer a fare da spogliatoio. Io che della Cremonese ero proprio un tifoso, che fin da piccolo facevo una testa così a mio padre, ancora e ancora per andare a vedere le partite, anche in trasferta, almeno quelle poco lontane”.

 

Il Milan
“Ricordo la telefonata dell’allenatore, giocavo negli allievi, lì a dirmi che c’era il Milan che mi voleva, il piacere che provai, anche perché lì a Cremona non è che mi sentissi poi molto considerato, altri miei compagni già erano passati con la Berretti, io no: era fine gennaio del 2007 quando passai così al Milan”.

 

 

Vita cambiata
“Da gennaio alla fine della scuola furono mesi impegnativi. A Cremona facevo il terzo anno del classico, scuola statale, c’era d’andare sino a Milano, al campo Vismara per gli allenamenti, ho deciso di provare, di vedere com’era. Anche se gli insegnanti proprio contenti non erano, uscivo 10’ prima della fine delle lezioni e in bici arrivavo alla stazione, dei panini con me, l’idea era quella magari di studiare un po’ ma proprio non ce la facevo. Prendevo poi il metro, infine l’autobus, spesso idem al ritorno e insomma arrivavo a casa la sera, a volte era mio padre, lui lavorava a Crema, a venirmi a prendere al Vismara. La scuola? Ero bravo, avevo la media dell’8, diciamo che sono sceso a 7 e mezzo…”

 

A Gallarate, in convitto
“Avevo 17 anni e non è stato un impatto facile, no. Andar via di casa quasi all’improvviso e non ero ancora né maturato, né formato. Mi trovavo proprio fuori, da un’altra parte, senza i riferimenti che erano stati sempre i miei, in un’altra dimensione insomma ed ero scombussolato. Ambiente diverso, più difficile, con una competizione che ho subito sentito esasperata. Anni quelli in cui ho finito gli ultimi due anni delle superiori e mi sono iscritto all’università, Filosofia”.

 

Il poterci stare
“Quando sono arrivato alla Primavera, è stato lì che ho capito che avrebbe potuto essere pure il calcio la mia strada. M’è sempre piaciuto il pallone, sono nato con quello, c’era lì mio zio che mi faceva fare dei colpi di testa e avrò avuto due anni. Mi piaceva giocare e mi piaceva pure studiare, non è che pensassi di fare il calciatore, quello no, era il presente quello che vivevo, non avevo insomma il sogno/desiderio del calcio, è stato poi al Milan che le cose sono cambiate”.

 

All’università
“L’ultimo anno della Primavera è stato il primo all’università, sì, Filosofia. Ricordo quanto sia stato difficile in quel periodo arrivare infine a scegliere il calcio. Quanto mi piaceva quel che facevo lì all’università, arrivavo a pensare che fosse proprio quella la mia strada e se non altro mi ha fatto capire che ne potevo comunque avere un’altra di possibilità”.

 

A Foggia, con Zeman
“Dopo la Primavera la strada poteva essere quella di andare in prestito in una C buona o in una piccola B, finché m’arriva la chiamata del Foggia, il ds Pavone e Zeman erano venuti a vedere la finale Primavera: ho detto sì all’istante, ricordo che ero a casa dei miei nonni quel giorno”.

 

Anno indimenticabile
“Sì, indimenticabile. Perché era il primo e perché c’era lui, Zeman. Lui che ti fa sentire per davvero parte di qualcosa, con attorno un entusiasmo persino esagerato. Lui che ci sapeva tutelare, tutti, squadra molto giovane, lui che diceva all’inizio che eravamo una squadra di pallavolo, che dovevamo diventare una di calcio. All’inizio facevamo fatica a capire, poi abbiamo capito e il rammarico più grande rimane ancora per me non essere riusciti a vincere. Un anno in cui ho imparato molto, Zeman è uno che insegna e poi, dopo la fine del campionato, la sua telefonata, mi dice che lui va a Pescara, mi chiede che intendo fare e ci sono andato così anch’io a Pescara”.

 

Il divertimento, adesso
“Normale pensare intanto ai tre punti, con loro va sempre meglio, però c’è qualcosa in più, che va assieme ed è il fare le cose per bene, con la soddisfazione che così provi quando le fai. Ecco, questo per me è il divertimento, partita o allenamento ed è così che poi arrivano i risultati. Vanno assieme, non sono separati, divertimento e soddisfazione, attraverso l’impegno. Che so, un’esercitazione magari difficile e vedi che viene fatta bene, la palla che corre veloce… cosa ci può essere di più soddisfacente?”

 

Professionista da sempre o più di prima?
“Fin da subito, da subito. Con gli occhi di adesso magari alcune cose le farei diverse, ma ci ragionavo sempre, la gestione del mio corpo, lo stare in gruppo, il saperci stare, sono sempre stato attento su questo. Col tempo s’impara e si cresce ma l’intento di fare le cose con una certa attenzione c’è sempre stato”.

La fascia al braccio
“Prima ero vice del vice, poi se ne sono andati Maietta e Antonelli, è toccato a me, l’anno scorso, per la prima volta. Porto sì la fascia, ma quel che più conta è la composizione del gruppo, quanto sia necessario arrivare a un equilibrio, un qualcosa che va oltre ai calciatori (siamo in 25…), c’entra pure lo staff, la società. Dinamiche infinite e fondamentale da parte del gruppo che ci si indirizzi verso quel che è funzionale per arrivare a fare più punti possibile. Tutti con i loro sensori sempre accesissimi, questione di attimi, le cose informali che contano di più di quelle formali: a volte basta mettersi lì giusto ad ascoltare, altro che fare dei discorsi”.

 

Pagelle, social, tatuaggi
“No, le pagelle non le leggo, davvero. Soprattutto è un’autodifesa, meglio così, evito possibili condizionamenti. Non ho nessun tatuaggio e non sono nemmeno social, a suo tempo ho avuto sì Facebook ma alla fine ho deciso di tirarmi via, volevo togliermi questa sorta di dipendenza, quel vizio di star lì a scorrere le pagine sul telefonino”.

 

A che punto della carriera
“Mi auguro di avere ancora parecchio da fare, non sono stanco di giocare. Ho la fortuna di vivere in un posto che ti fa venire la voglia, sia per la società, sia per il gruppo che c’è. Sì, ho ancora parecchio da fare”.

 

Dura dare consigli, specie adesso ancor più con i giovani, così dicono, ma se proprio ci vuoi provare?
“Perché dura? È un qualcosa che comunque non vale solo per i giovani, vale pure per i vecchi. In sostanza, io dico: correre, proprio correre. Intendo il darsi da fare, l’impegnarsi, insomma per davvero partecipare. Cercando di capire prima possibile la via giusta per migliorare e migliorarsi, sempre”.

 

E dopo?
“Non so, ho tante cose ancora da fare e se ci penso mi vedo comunque sia dentro che fuori, al calcio intendo. Mi manca giusto la tesi adesso per arrivare intanto alla laurea triennale in Filosofia, magari ci penserò pure per la specialistica… l’idea comunque, da una parte o dall’altra, è quella di provare a insegnare, sì, e potrebbe essere pure nel calcio, scrivi pure… allenatore se vuoi, chissà”.

Di Cremona, classe 1990, dai 10 ai 17 anni è con la Cremonese, passando poi alle giovanili del Milan con cui ha vinto gli Allievi Nazionali e la Coppa Italia Primavera. Con 6 presenze nell’U21 della Nazionale, ha giocato via via con Foggia, Pescara, Spezia, Carpi, Empoli, Bologna, Brescia e ancora Empoli. Dalla sua ben 4 promozioni dalla B alla A (Pescara 11/12, Carpi 14/15, Brescia 18/19, Empoli 20/21). A un passo dalla laurea triennale in Filosofia (manca giusto la tesi), è sposato con Giulia (hanno un bambino di un anno e mezzo).

18.10.21