Il pallone racconta: Romano Fogli

Gli 80 anni dell’ex allenatore e calciatore di Torino, Bologna e Milan

Il 21 gennaio, Romano Fogli ha compiuto 80 anni, è stato un grande giocatore e anche un buon allenatore, magari non così conosciuto, soprattutto fra i giovani.
Ha festeggiato con il figlio Mirko, assicuratore, per 5 anni responsabile del settore giovanile dell’Arrighini. È stato al Regoli, all’Avellino, al Latina e ora collabora con la Pistoiese. La famiglia abita a Santa Maria a Monte, a 5 km da Pontedera, Mirko è classe 1962, nel paese pisano aveva un bar, ha fatto l’osservatore e poi il procuratore. Era mezzala, esordì in prima squadra alla Reggiana, in Serie C, e poi fece bene a Pontedera, per anni in Serie D. L’altro figlio di Romano è Massimiliano, impiegato alla Pam, classe ’64: aveva giocato nei dilettanti, a Molinella, nel Bolognese, in Serie D.

Fogli, come ha celebrato i suoi 80 anni?
“Con tutti i familiari, qui a Santa Maria a Monte, paese di quasi 14mila abitanti. Il più noto è l’ex ciclista Massimo Donati, molto bravo in salita”.

Chi altri c’è, in vita, fra gli azzurri titolari eliminati dalla Corea del Nord, in Inghilterra ’66?
“Sicuramente Albertosi, Guarnieri, Janich, Mazzola e Rivera”.

Che ricordo ha della più grande delusione della sua carriera?
“Nessuno se l’aspettava, a quei tempi fu una disgrazia del calcio. Una partita strana, nei primi 20’ potevamo essere 2-0, prendemmo gol in contropiede, bastava il pari ma non fummo in grado di rimontare, anche perché si infortunò presto Giacomo Bulgarelli: gli saltò il menisco per un’entrata da dietro e all’epoca non c’erano le sostituzioni”.

Quali partite ricorda più volentieri, invece?
“L’esordio in Serie A, a fine maggio del ’56, senza di quello non ci sarebbe stato nulla. Era Torino-Sampdoria, giocai le ultime 2 di campionato e debuttai al posto di Enzo Bearzot”.

E poi naturalmente lo scudetto con il Bologna, allo spareggio con l’Inter.
“Che in quell’anno aveva vinto la coppa dei Campioni e poi si sarebbe aggiudicata anche l’Intercontinentale”.

E se le sarebbe aggiudicate anche lei.
“Nel biennio al Milan”.

Come andò l’unica avventura del Bologna in Coppa Campioni?
“Fummo eliminati dall’Anderlecht, al primo turno, ma alla terza partita in campo neutro, a Barcellona: sconfitta a Bruxelles per 1-0, vittoria 2-1 al Dall’Ara e spareggio al Camp Nou, addirittura perdemmo alla monetina, dopo i supplementari, all’epoca neanche c’erano i rigori”.

Dalla sua scheda colpisce la corporatura, uno e 74 per 65 chili.
“Già, adesso tutti i giovani sono almeno uno e 80. La tecnica era la forza, fisicamente reggevo, sopportavo abbastanza le fatiche. Doping? Per quel che so io, neanche mai provato”.

Chiuse la carriera al Catania, per 4 stagioni.
“La prima fu in A, con Carmelo Di Bella, don Carmelo, era chiamato all’epoca, poi ci fu Mazzetti, che avrebbe allenato tantissimo. C’erano Buzzacchera e Rino Rado, che fu con me al Bologna”.

Le va di tracciare l’undici della sua vita, fra i compagni?
“Negri (Bologna); Anquilletti (Milan), Tumburus (Bologna), Janich (Bologna), Schnellinger (Milan); io facevo il mediano destro, lì piazzerei Rosato (Milan), poi Bulgarelli (Bologna), Rivera (Milan), Haller (Bologna); Pascutti (Bologna), Prati (Milan). A disp.: Cudicini (Milan) e poi 4 del Toro: Archie, Jepsson, Armano e Ricagni”.

Da allenatore, come responsabile si era fermato nel ’98.
“Andai alla Fiorentina, a fare il vice di Trapattoni, poi andai all’Under 21 con Claudio Gentile. Che non aveva mai allenato prima, vincemmo l’Europeo del 2004 e il bronzo olimpico di Atene. Dal 2004 al 2006 ero stato osservatore per Marcello Lippi, in Nazionale, sino alla vittoria del mondiale”.

Poi cosa fece?
“Aprii una scuola calcio, con amici, al mio paese. Ho lasciato l’anno scorso, adesso continuano i più giovani”.

Qual è stata la sua esperienza più felice, in panchina?
“Alla Reggiana, con promozione in B e salvezza. Avevo giovani bravi, che poi si sarebbero imposti: Matteoli, Carnevale, Alberto Di Chiara, Mazzarri, Sola, Francini, Corradini, Bruni. Gente che ha vinto molto e qualcuno è arrivato in Nazionale, mi diedero grandi soddisfazioni”.

Aveva cominciato al Bologna, dal ’74.
“Per sei stagioni nel settore giovanile, subentrai nell’anno di Marino Perani, come vice”.

Dopo Reggio Emilia, tanta Serie C…
“A Foggia e Livorno, poi al Barletta. Dove mi esonerarono da primo della classe e la squadra pugliese venne poi promossa con Pippo Marchioro. Quindi i 2 anni a Siena, poi Montevarchi, Vicenza, Treviso, di nuovo Siena”.
 
Sino alla parentesi al Bologna, nel ’93.
“Con Franco Janich. Giusto le ultime 5 gare, retrocesso. Venni allora mandato al Baracca Lugo, in Serie C2, proprio per l’accordo con il presidente del Bologna”.

Ha sempre vissuto a Santa Maria?
“Sì, mia moglie Cecilia è sempre rimasta lì, con i figli, io ovviamente dovevo poi trasferirmi dove allenavo. Nel ’96 avevo in mano tutto il settore giovanile dell’Acquacetosa, a Roma, e allora scendevo 2-3 volte la settimana. Solo a Reggio facevo su e giù da Bologna”.

Come si spiega la mancata qualificazione dell’Italia al mondiale?
“Anche con la mancanza di giovani di grande levatura. Non diamo sempre la colpa agli allenatori, non abbiamo tanti campioni: senza Totti e Rivera, Vialli e Mancini, si dovrebbe stare più attenti al settore giovanile”.

Chi preferirebbe, come ct?
“Basta che mettano uno che si intenda anche di calcio… Io ebbi Roberto Mancini a Bologna, come giocatore, e Allegri a Livorno”.

Lei ha rimpianti?
“No. Ho ricordi molto belli, è bello vivere di sport, con lo sport che ami, con qualche sacrificio, è troppo bello. Giocare è troppo bello, ricordatelo sempre”.

Perché non ha mai fatto il personaggio televisivo?
“Ho sempre preferito visionare giovani piuttosto che prendere qualche soldo in tv”.

Qual è la sua squadra del cuore?
“Da bambino, a 10-12 anni, tifavo Milan, con Nordahl e Liedholm. Poi Torino e, naturalmente, il Bologna sopra tutte, con 10 anni in prima squadra e 15 nel settore giovanile. Non dimentico i due anni fantastici al Milan, grande società. A Catania smisi in anticipo di un anno, a quasi 37 anni, perché vedevo che mi passavano tutti davanti. Andai dal presidente Massimino e gli comunicai la decisione”.

Non avesse fatto il calciatore?
“Sarei andato alla Piaggio, a Viareggio, a 8 km da Pontedera. A 17 anni ero già al Torino ma dopo la scuola media ero andato a lavorare con amici, anziché starmi in giro per il paese. Mi ero dato da fare nella costruzione delle vespe e dell’Ape, sarei finito lì o nell’indotto. Qua siamo vicini a Ponsacco, il paese di Leonardo Menichini, siamo amici”.

Da tecnico a chi si ispirava?
“A me stesso, in base a quanto avevo imparato a Coverciano. Ognuno poi va per conto proprio, a me piaceva far giocare bene e in 7-8 anni ci sono riuscito”.

E a 80 anni sta benissimo…
“Abbastanza. Proseguiamo così, tranquilli, senza faticare troppo”.

Vanni Zagnoli

16.03.18