Il pallone racconta: Spartaco Landini

Il ricordo dell’ex calciatore e dirigente

Spartaco non c’è più. Spartaco era Landini, l’unico Spartaco dello sport italiano, l’unico italiano, forse, minimamente noto, con quel nome. Spartaco. Nome omen, si dice, no?
Spartaco era forse spartano, Spartaco era certamente una figurina. Da bambini lo ricordiamo, nell’album Panini che a fondo pagina metteva le icone del calcio di mezzo secolo fa. Era laggiù, per esempio con Zurlini. Aveva la riga a destra, il ciuffo un po’ all’insù, visivamente una brava persona. Lo ricordiamo ds al Genoa, ma onestamente sappiamo poco di Landini, memorabile giusto per quel nome.

E allora andiamo a pescare su Google i migliori ricordi, il più affascinante è su “Il Fatto”, a firma di Bruno Perini.
“Domenica, poco le otto del mattino, è morto a Genova Spartaco Landini. Mio cognato Spartaco, anno 1943, nato a San Giovanni Valdarno. Stroncato da una delle forme più insidiose di leucemia mieloide acuta, contro la quale ha combattuto fino all’ultimo respiro senza mai cedere o lamentarsi”.
Dunque il memento è del cognato, circostanza inconsueta, che ci spiega anche la malattia.
Il racconto avanza, drammatico.
“Non ce l’ha fatta. Quando l’ho incontrato per l’ultima volta una settimana prima della sua morte, prima di salutarci mi ha guardato negli occhi arricciando la bocca e mi ha detto: “Bruno, questa volta è dura”. Uomo integro, tenace, positivo, concreto, Spartaco è sempre stato un combattente, ha sempre onorato il nome che portava, sia nella vita che sul campo di calcio. Mia sorella Giovanna lo ha sposato nel lontano 1968, a lui ha dato due figlie, Giuditta e Ilaria, e con lui ha trascorso cinquant’anni di vita di grande passione, amore e condivisione delle glorie e dei dolori”.
Il cognato saccheggia i ricordi, pur da profano del pallone.
“Spartaco, mi dicono i più esperti, è stato un terzino della gloriosa Inter di Helenio Herrera, anni ‘60. Un vero mastino, una barriera invalicabile per gli avversari. E’ in quegli anni che ha conosciuto mia sorella Giovanna. Ed è in quegli anni che è entrato nell’olimpo nero azzurro dei Mazzola, Corso, Jair, Burgnich, Facchetti, Bedin e altre glorie del calcio che ora mi sfuggono. Insieme a loro ha collezionato tantissime vittorie. Quando le glorie dell’Inter di Herrera si sono dissipate Spartaco è rimasto nel calcio per decenni passando dal Palermo, all’Avellino, dal Catanzaro fino al Genoa, dove in veste di direttore sportivo ha fatto, mi spiegano gli addetti ai lavori, grandi cose”.
Sì, allora, leggendo queste righe anche noi ricordiamo. Rammentiamo Landini all’Avellino, ecco, e pure al Catanzaro, ma vagamente.
Di nuovo l’articolo de Il Fatto.
“Un giorno mi trovavo ospite a Genova a casa di Spartaco e di mia sorella. Un gruppo di ex giocatori dell’Inter che si erano ritrovati come vecchi amici discutevano animatamente di calcio con un linguaggio per me incomprensibile. Visto che non ne capivo granché di tecniche e di tattiche calcistiche decisi di rivolgermi a un signore che se ne stava in disparte a leggere una rivista: “Scusi, ma giocava anche lei a calcio?”, chiesi timidamente. Prima che quel signore mi guardasse in modo strano mia sorella mi chiamò in cucina con occhi sgranati e mi disse: “Ma Bruno, che domande fai? Quel signore è Tarcisio Burgnich una delle glorie dell’Inter e della Nazionale! Avrà pensato che volessi prenderlo in giro”.
Per farmi perdonare chiesi scusa a Burgnich ma lui era molto divertito e quando Spartaco venne a conoscenza della storiella si fece una grande risata: “Che vuoi Tarcio, mio cognato l’è fatto così. Guarda comunque che è a suo modo un interista”.
Per come me lo ricordo io Spartaco non ha mai mollato. Anche nei momenti meno vivaci della sua carriera ha tenuto botta con una tenacia invidiabile, facendo chilometri e chilometri per cercare giovani calciatori da segnalare alle sue squadre. E quando si è presentata quella micidiale malattia che ce lo ha portato via ha lottato come un leone per due anni, grazie anche alla forza e alla presenza senza sosta di mia sorella Giovanna e delle sue figlie”.

Il web fa affiorare notizie più scarne, ricordi meno accorati, da agenzia.
Comunque, Aldo Spinelli si commuove , su Spartaco: “Un grande uomo e un grande dirigente, se ne va un pezzo importante del Genoa”. Il funerale per l’ex direttore sportivo del Genoa, che con il presidente hanno ottenuto grandi risultati, va via così, con il groppo in gola un po’ di tutti. Anche in chi ha celebrato il rito funebre come padre Mauro Galli, genoanissimo, più volte commosso durante la Messa nell'affollatissima chiesa della Consolazione nel pieno centro di Genova in via XX Settembre. Ancora Spinelli, sempre proprietario del Livorno: “Voglio sorridere al pensiero delle nostre colazioni con Scoglio e anche con Benti, altro dirigente che non c’è più. Spartaco ha fatto grandi colpi, essendo molto sveglio arrivava prima di altri come nell’operazione Branco e non solo. Soprattutto gente come lui non ce n’è piu’ tanta nel calcio. Era interista ma molto genoano”.

E proprio nella chiesa si sono notate anche vecchie bandiere nerazzurre: Luisito Suarez e Mario Corso, Tarcisio Burgnich e il figlio di Giacinto Facchetti, l’attore Gianfelice.
Ma ci sono anche i ricordi di chi è stato scoperto da Landini. Vincenzo Torrente, ex terzino destro del Grifone, neo allenatore del Vicenza: “Devo la mia carriera a lui”. Mario Bortolazzi è fra i vice di Donadoni, fu un altro pezzo importante del Genoa semifinalista Uefa, vincitore a Liverpool: “Un grande dirigente”, dice semplicemente.
Da giocatore, Spartaco è stato un buon difensore, troppo giovane per farsi spazio come titolare fra i vari Burgnich, Guarneri e Facchetti, oltre che onestamente meno bravo di loro, ma comunque uno che della Grande Inter ha fatto parte.
“Non è un caso” - spiega Stefano Olivari, su guerinsportivo.it – “che Edmondo Fabbri lo avesse convocato per il Mondiale del 1966, nonostante la scarsa stima che aveva per la squadra di Herrera. E la sua unica presenza in Inghilterra fu il 19 luglio 1966, in quella che è ricordata come la madre di tutte le sconfitte azzurre, anche se in realtà l’Italia mondiale ha scritto pagine più vergognose, come la mancata qualificazione a Svezia 1958 o il cammino a Sudafrica 2010.
Contro la Corea del Nord erano in difesa anche Guarneri e Facchetti, si fece male presto Bulgarelli e l’unica vera colpa di Fabbri fu di averlo rischiato in condizioni precarie, dopo l’infortunio con il Cile e la sofferenza con l’Urss. Gli asiatici erano atleticamente assatanati e ben preparata, nessuno era un dilettante, come vuole la leggenda, a partire da Pak Doo Ik, mentre quasi tutti erano atleti di stato.
Sandro Mazzola non era in giornata, Rivera giocò una delle sue partite di maggior sacrificio in carriera, mentre Marino Perani sbagliò gol. L’avversaria ai quarti di finale quasi avrebbe buttato fuori il Portogallo di Eusebio. Landini aveva esordito in azzurro un mese prima in un’amichevole con l’Austria, giocò una buonissima partita risultando il miglior azzurro insieme a Rivera, e non chiuse lì la sua carriera in Nazionale: sarebbe stato convocato dalla coppia Valcareggi-Herrera per una partita di qualificazioni europee contro la Romania. E poi basta”.
Ma il meglio lo diede nelle compravendite e nel tenere a galla società in serie A e B.

Vanni Zagnoli

20.04.17