Il pallone racconta: Pierino Prati

I 70 della “peste” rossonera

Martedi scorso Pierino Prati ha compiuto 70 anni. È stato uno dei migliori cannonieri nella storia del nostro calcio, non solo per i 100 gol in Serie A, traguardo centrato domenica scorsa da Sergio Pellissier, capitano del Chievo. L’hanno festeggiato soprattutto a Roma, dove ha giocato per 4 stagioni.
“Sono stati due giorni veramente emozionanti” - racconta l’ex attaccante di Cinisello Balsamo – “allo stadio Olimpico per Roma-Milan e poi all’evento per il mio libro, con una sala pienissima e tanti invitati. È bello avere un club di tifosi con 700 tesserati, essere il loro bomber del cuore, al centro Lanciani di Roma, grazie al maestro di tennis Conforti. È stato lui a organizzare la mia biografia, in 4-5 mesi”.

Al Milan vinse scudetto (1968, capocannoniere), Coppa Campioni (‘69), Intercontinentale (’69) e Coppa Coppe (’68 e ’73). In giallorosso realizzò 28 gol in 82 presenze di A, dal 1973 al ’77.
“E allora è naturale che mi cantassero: Pierino, cosa fai? Gol, gol, gol!”.
Si chiama proprio così, all’anagrafe?
“Non è il solito diminutivo, perché mio papà Gino Luigi volle chiamarmi proprio così. Dopo le medie volevo giocare solo al pallone e allora andai a Milanello tramite il collegio, dovetti arrangiarmi da solo. Il Milan pensò di mettermi alla prova, cedendomi in prestito”.
Dapprima alla Salernitana.
“Segnai 12-13 gol, Coppa Italia compresa, e fummo promossi in B. Avevo già vinto lo scudetto con la Primavera, allora non si potevano fare due anni in prestito nella stessa squadra, dunque andai al Savona”.
Con gli “striscioni” furono 15 gol in 29 partite, in B. Preludio delle 6 stagioni al Milan.
“Dove ero il più giovane. Contribuirono molto alla mia crescita, offrendomi subito un ruolo importante, in un anno solare assommai 4-5 trofei. Eravamo la miglior squadra d’Europa, battemmo in finale l’Ajax che era una creatura nuova. Le imprese furono negli ottavi con il Celtic di Glasgow e poi in semifinale con il Manchester United di George Best e Bobby Charlton. Le due britanniche erano le avversarie più temibili, le superammo”.
E così stabilì un record unico, per gli italiani nelle finali di Coppa dei Campioni: una tripletta.
“Fu a Madrid, nel nostro 4-1 agli olandesi e sullo 0-0 avevo colpito un palo. Con il premio partita, mi comprai una Porsche”.
Eppure l’accoglienza non fu delle migliori…
“Avevo i capelli lunghi e i pantaloni a zampa di elefante, la camicia a fiori. Mister Nereo Rocco mi scambiò per un cantante: “Portatemelo via”. Ma scherzava. Realizzavo tanti gol e dovevo sempre pagare da bere, ma lo facevo anche volentieri, per esempio offrii tre bottiglie di champagne”.
Ma quando cambiò la sua carriera?
“A Vicenza, a neanche 21 anni. Pareggiammo 2-2 e feci doppietta, non sono uscito più uscito di squadra. Al punto che Gianni Brera, credo, mi soprannominò Pierino la peste, poiché segnavo spesso negli ultimi minuti”.
Vinse la classifica dei cannonieri con appena 15 gol, ma in 23 gare. Allora se ne giocavano sole 30 a campionato e in un paio ne disputò appena 21.
“Ma non furono infortuni, solo nell’ultima stagione mi spuntò la pubalgia, quando ero in testa ai marcatori, con 6 reti. Saltai tutto il girone di ritorno e il Milan perse lo scudetto a Verona, l’avevamo quasi vinto. Neanche disputai la finale di Salonicco, in Coppa delle Coppe, vinta con il portiere William Vecchi, eroe”.

Così, a 26 anni, passò alla Roma.
“In un altro gruppo molto unito. Ritrovai Nils Liedholm, responsabile del settore giovanile quando ero al Milan, a 12 anni. Faceva tutto l’allenamento con la palla, è il modo migliore per far emergere chi ha qualità e io dentro le avevo”.
Il primo anno chiuse all’ottavo posto e poi un brillante terzo, nel ’74-’75.
“Era come una vittoria. In porta c’era Paolo Conti, a destra Peccenini, oggi commentatore Rai, al centro Batistoni davanti a Santarini e Francesco Rocca a sinistra. A centrocampo Cordova e Giorgio Morini, poi Negrisolo, De Sisti e Spadoni erano in appoggio a me”.
In A chiuse la carriera alla Fiorentina.
“Con Carletto Mazzone, che mi voleva da due anni. Mi limitai a 8 presenze, anche perché lui fu esonerato presto e arrivò Beppe Chiappella”.
Così tornò al Savona, in C2, dove segnò altri 10 gol.
“Ma lì avevo in testa di andare a giocare nel campionato americano e li feci nei Rochester Lanchers. Laggiù c’erano anche Chinaglia, ai Cosmos, Pelè e Bechenbauer”.
Rientrò e per la terza volta fu al Savona…
“E lasciai a 35 anni, con ottimi ricordi ovunque. Il calcio è stato il mio sogno, la mia vita e continuerà a esserlo sempre”.
Qual è stato il suo gol più bello?
“Con la Nazionale, a Napoli contro la Bulgaria, in tuffo. Da bambino ho imparato a fare acrobazie, cadendo sul fieno”.
In azzurro però giocò appena 14 volte, con 7 reti.
“Ero l’alternativa a Gigi Riva, senza di lui avrei ottenuto molto più spazio. All’Olimpico giocai la prima finale dell’Europeo, la pareggiamo 1-1 con la Jugoslavia e si ripeté senza di me, per turnover. È stato l’unico Europeo vinto dall’Italia”.
Andò anche al Mondiale del ’70, ma senza giocare.
“Ero in ripresa, mentre Anastasi si infortunò. Gori rappresentava la spalla di Riva e all’ultimo momento il ct Furio Valcareggi inserì sia Boninsegna che me, lasciando a casa Lodetti, un mediano. Restai sempre in panchina, comunque gustai il secondo posto”.
Disputò anche le qualificazioni a Euro ’72 (perse) e poi uscì dal giro per Germania 1974. Il meglio l’ha dato all’inizio carriera, esattamente come Pietro Anastasi.
“Ho vinto tutto, a parte il Mondiale. E non ho perso nessuna delle 7 finali disputate, un altro record”.
Ora che fa?
“Insegno calcio ai ragazzini, anche all’estero. Da molto tempo il Milan ha un progetto nelle scuole calcio, lo staff controlla e del resto noi abbiamo una grande responsabilità, insegnando ai bimbi fra i 6 e i 13 anni. Occorre competenza, nell’età chiave, e io in quel ruolo sono sempre a mio agio. Insomma per me il campo è ancora verde. I bambini ti coinvolgono, così piccoli, vanno a  vedere chi ero, come calciatore. Sono curiosi di sapere come ho fatto ad arrivare lì”.
Con chi avrebbe voluto festeggiare i suoi 70 anni?
“Con Angelo Anquilletti e Roberto Rosato. Erano stati miei compagni al Milan, in quegli 8 trofei, non ci sono più”.

Vanni Zagnoli

19.12.16