Il Pallone racconta: Domenico Morfeo

Il quarantenne ex centrocampista ora gestisce 2 ristoranti ed un centro commerciale

A metà gennaio, Domenico Morfeo ha festeggiato i 40 anni, ma in silenzio. “Di interviste non ne faccio, con nessuno, mi spiace”.
Pensavamo, speravamo che facesse un’eccezione, per www.assocalciatori.it, invece è completamente assorbito dalla sua avventura gastronomica, nel tempo l’ha sdoppiata: “Al Dolcevita di Parma ho aggiunto la versione abruzzese, ad Avezzano”.
Morfeo ci risponde dalla sua regione, l’Abruzzo, di cui è stato fra i giocatori più imprevedibili della storia. “Talento purissimo”, conferma semplicemente Massimo Donati, suo compagno a Parma, un decennio fa, e adesso al Bari.
Basta chiudere gli occhi e sembra vederlo, stoppare il pallone a centrocampo e mandare l’avversario fuori giri, catturare una punizione e l’ammonizione. Ma poi c’era anche l’altro Morfeo, quello dal carattere difficile, che faceva dannare gli allenatori e pure i compagni.

La sua storia inizia a 14 anni, quando si trasferisce nel settore giovanile dell’Atalanta. Era il 1990 e già allora era guidato da Fermo “Mino” Favini, 80 anni compiuti in settimana e da pochi mesi andato in pensione per davvero. “Era talento puro” - conferma – “al punto che spesso i compagni non lo capivano, non ne intuivano le intenzioni: faceva giocate stranissime, per essere così giovane. Vedeva tutto, sembrava avesse gli occhi davanti e anche dietro. Tecnicamente rasentava la perfezione e tutti ci aspettavamo qualcosa in più, dalla sua carriera”.
Una buona carriera, penalizzata dal carattere, nervi spesso a fior di pelle e un pizzico di presunzione. Nel ’91 era nell’Under 15 azzurra, comprendendo anche l’Under 16 chiuse con 7 presenze e 2 gol. Esordì in Serie A a 17 anni, nel dicembre ’93, con i bergamaschi. Entrò contro il Genoa e poi tornò alla Primavera, con Giovanni Vavassori. All’epoca c’erano Tacchinardi, i difensori Zanchi, Pavan e Viali, l’altra mezzapunta Locatelli e gli attaccanti Chianese e Pisani, scomparso a 21 anni in un incidente stradale.
Fece talmente bene che a 8 giornate dalla fine venne aggregato alla prima squadra, in lotta per non retrocedere. Contro il Lecce gioca un quarto d’ora e fa doppietta, con il sinistro da fuori sorprende Gatta, il bis è su punizione, 3-3. L’esecuzione da lontano diverrà il classico del suo repertorio, idem la punizione quasi da fermo, ad aggirare la barriera sul primo palo.
Del resto i numeri di Morfeo sono da attaccante, neanche da trequartista, con 54 gol in A, 14 da fuori area e 8 su punizione. Una decina li ha segnati di destro, neanche era il suo piede, 3 furono di testa, anche troppi, considerati i 173 centimetri.
Morfeo giocò le altre gare di quella prima stagione orobica, segnò un altro gol, ma l’Atalanta retrocedette, con la coppia Andrea Valdinoci-Cesare Prandelli, debuttanti in A al pari di Guidolin, ai quali erano subentrati. Nell’Under 18 continuava a rifulgere, con 6 reti in 6 presenze.

In B torna a Bergamo Emiliano Mondonico e centellina il promettente Domenico, con appena cento minuti nel girone d’andata. Lui non gradisce e finisce per un po’ fuori squadra, è stata la prima volta. Va meglio nel ritorno, sei vittorie di fila, Morfeo manca una sola di queste e contribuisce alla rimonta da promozione, dalla zona retrocessione al quarto posto.
Nel ’95-’96 si afferma, è presto titolare e segna 11 gol, l’unica doppia cifra della carriera. Intanto si specializza in assist, a Christian Vieri, spesso infortunato.
In estate arriva il successo con l’Under 21, nel ’96, e allora rivaleggiava con Del Piero e Totti come fantasista, alle spalle proprio di Vieri. È Morfeo a sostituire Totti e a calciare l’ultimo rigore, nella finale di Spagna, con Cesare Maldini in panchina.
Siamo al ’97-’98 e Domenico a Bergamo segna 5 gol, smazza assist per Filippo Inzaghi, capocannoniere, e una volta i due litigheranno per battere un rigore.

Lui fece talmente bene che Vittorio Cecchi Gori lo prese alla Fiorentina. Malesani lo volle come vice Rui Costa e dopo tre sconfitte di fila passò dal 3-5-2 iniziale al 3-4-3, impiegando quel ventunenne che, assieme al brasiliano Lulù Oliveira, divenne assistman per Batistuta, altro capocannoniere.
Disputò 18 partite di fila da titolare, alla prima i toscani vinsero 5-0. Morfeo, da rifinitore, fece una partita praticamente perfetta. Contro il Lecce di Prandelli: l’assist sul primo gol di Batistuta, poi il passaggio che da centrocampo che causò un’espulsione, l’assist per un autogol e sempre il suggerimento per il quinto gol di Batistuta. Con lui in campo la Fiorentina riuscì sempre a segnare almeno un gol. Ebbe un leggero infortunio, debuttò il quotatissimo Edmundo e da quel momento il nostro disputò 9 piccoli spezzoni. All’epoca Morfeo si lamentò per le pressioni per far giocare il brasiliano al suo posto. “Questo mi dette fastidio”.

Arriva Trapattoni al posto di Malesani, passato al Parma, Morfeo non gioca nelle prime 5 gare e allora Alberto Zaccheroni lo chiama al Milan, in prestito. Vincerà lo scudetto, ma quel ragazzino all’epoca 23enne rimarrà ai margini. Fece due partite da titolare come attaccante esterno, 4 da trequartista, per il resto subentrò. Negli ultimi due mesi e mezzo, Morfeo è infortunato e non partecipa alla rincorsa scudetto. Galliani e Braida decidono allora di non riscattarlo, i viola lo mandano dunque di nuovo in prestito. Al Cagliari. Anche lì solo un gol, proprio contro il Milan, e un minuto dopo si fa male. Torna a dicembre, ma il presidente Cellino non lo ritiene più utile e risolve il prestito. Va a Verona, rivoluto da Prandelli, che fece debuttare in A. Quando arriva, i gialloblù, neopromossi, sono quart’ultimi, Cesare lo schiera da seconda punta, vicino alla porta, e alla prima gara intera fa doppietta. Alla Fiorentina del Trap, benedetti gol dell’ex. La domenica successiva, una girata al volo, spettacolare, al Bari. A parte infortuni e squalifiche, Morfeo gioca sempre e il Verona chiude con 15 risultati utili di fila e finisce 9°: dall’87 a oggi, è il miglior piazzamento per i veneti, che contribuirono a far perdere lo scudetto alla Juve di Ancelotti.

Morfeo torna a Firenze, si fa male ancora e Terim, l’ “imperatore” turco, gli dà poco spazio. Venti minuti in 2 partite. Allora torna a Bergamo, da Vavassori, l’altro che lo aveva valorizzato fra i giovani. Di Domenico colpiscono sempre gli avvii, alla prima partita fa due gol e un assist. Il settimo posto finale fu anche in quel caso il miglior piazzamento, dall’89 a oggi.
Lì Morfeo ha 25 anni, ha la terza chance alla Fiorentina e di nuovo delude. I viola sono nella fase prefallimentare, Roberto Mancini viene esonerato, neanche Ottavio Bianchi compie miracoli il nostro chiude con due gol in 18 partite. I tifosi lo accusano di simulare infortuni per non giocare, gli consegnano una maglia bianca con la scritta “indegno” e la € di Euro al posto del giglio. Morfeo ci resta male, rescinde il contratto e i viola perderanno le ultime 7 partite, una parte delle quali con Luciano Chiarugi allenatore.

Morfeo è svincolato, grazie all’agente Sergio Berti va a giocare all’Inter, con Hector Cuper. L’hombre vertical lo piazza a sinistra ma a centrocampo, lì Domenico fatica perché deve anche difendere e non riesce a piazzare il dribbling giusto.
Spesso sta in panchina, gioca in Champions League ma negli ottavi di finale contro il Bayer Leverkusen litiga con il turco Emre per tirare un rigore. Lo sbaglia, viene sostituito e giocherà solo due spezzoni. A 26 anni, mentre l’Inter esce in semifinale di Champions, nel derby contro il Milan, Morfeo si rende conto di non poter diventare quel campione che tecnicamente dovrebbe essere.

Prandelli continua a considerarlo giocatore chiave e allora lo prende a Parma. Sarà l’unico periodo di vera stabilità per questo piccolo, grande uomo. Cinque stagioni, 16 gol in 88 partite e molti assist. Finì fuori rosa con Mimmo Di Carlo, nell’anno della retrocessione, la gente del Tardini però si spellava le mani per applaudirlo. Perché con Prandelli per due volte i crociati sfiorano la Champions League, giocano una semifinale di Coppa delle Coppe con Gedeone Carmignani. La sua andatura a testa alta, caracollante, diventa imprevedibile, per gli avversari. Doveva sentirsi leader, guidare la squadra, avere l’ambiente dalla sua parte e in Emilia succedeva, al contrario che nelle grandi.
Una delle partite migliori è stata nell’aprile del 2007, Palermo-Parma 3-4, con Ranieri in panchina. Venne sostituito al 45’, entrò nel secondo tempo sul 2-2 e fece i due assist in una gara chiave per la salvezza dei crociati, risolta da Giuseppe Rossi.

A 32 anni, lui non riparte in B con il Parma di Cagni, va per sei mesi a Brescia, con una sola presenza e qualche battibecco con il presidente Corioni. E poi in C per altri sei mesi, a ritrovare Mondonico. Il suo ultimo allenatore è stato Roberto Venturato, oggi a duellare con il Cittadella per il primato in Lega Pro, contro l’Alessandria. Chiuse da professionista con 4 presenze e una lunga squalifica. La parola fine venne pronunciata in seconda categoria, al San Benedetto dei Marsi, squadra del suo paese, a 35 anni.

Avrebbe meritato almeno di debuttare in Nazionale, il carattere lo tenne lontano. Vari allenatori lo accusarono di scarso impegno, di mancato sacrificio, comunque è stato unico. Come Alessio Pirri, suo coetaneo, ex giovanili della Cremonese, che ben presto si era perso. Lo chiamavano anche “Maradonino”, per quei suoi numeri quasi da circo. Venne anche penalizzato dalla tattica dell’epoca, perché il trequartista quando si rivelò non era quasi più previsto. Piaceva il 4-4-2, che finiva con il penalizzarlo. Non era attaccante puro né centrocampista. Bisognava costruirgli la squadra attorno. Come Insigne oggi. Ecco, come classe, Morfeo era su quei livelli.

Vanni Zagnoli

08.02.16